Writing Week - Day 4 - Ouija
Apr. 30th, 2020 02:02 am![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Ouija
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: verde
Personaggi: Keith Kogane, Lance McClain, Allura
Pairings:
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Partecipa alla Writing Week di Fanwriter.it - Lista Witchcraft
Beta:
Word count: 1216
La prima volta che Keith aveva visto una tavola ouija era stato a casa di Allura durante una delle sue spiegazioni sull’etica della magia. La capo villaggio era stata molto chiara su quali fossero gli usi propri e impropri del potere magico, su quali fossero implicazioni e conseguenze, e sulle responsabilità da assumersi ogni volta che si lanciava un incantesimo.
Riguardo a quell’oggetto, gli aveva spiegato cosa fosse come funzionasse, ma lo aveva anche messo in guardia su quanto fosse pericoloso il suo utilizzo. Entrare in contatto con il mondo degli spiriti poteva essere un rischio anche per la strega più dotata, il desiderio di parlare di nuovo con una persona che aveva perso poteva diventare talmente forte da impedire il ritorno nel mondo terreno.
Keith aveva ascoltato e compreso tutto quello che Allura gli aveva spiegato, ma c’era un pensiero fisso, che lo tormentava dal momento in cui era venuto a conoscenza delle sue vere origini: perché sua madre lo aveva abbandonato? Se i suoi poteri derivavano da lei, perché non si era presa cura di lui, non lo aveva cresciuto come ogni altro genitore? Cosa lo aveva impedito? Era morta a causa della persecuzione? Tutte domande senza risposta, dubbi che nessuno avrebbe potuto sciogliere. Nessuno tranne forse quella apparentemente innocua tavoletta.
Non potendo, per ovvi motivi, chiedere in prestito quella di Allura, Keith se l’era costruita da solo, nel tempo libero dall’apprendistato. Non era perfetta e probabilmente non si poteva nemmeno considerare un oggetto di potere, ma durante le lezioni con Lance aveva imparato che costruirsi da sé gli strumenti per un incantesimo importante conferiva loro maggiore energia. Per questo motivo aveva creato da solo anche le candele e avrebbe utilizzato l’athame di sua madre come planchette.
Aveva aspettato una sera in cui tutti erano impegnati con i preparativi per la festa di Ostara, in modo da essere certo che nessuno entrasse, neanche per sbaglio, nella piccola dependance della casa di Lance che gli era stata assegnata come stanza provvisoria.
Forse quello che stava facendo era imprudente, pensò mentre sistemava le candele e la tavola sul pavimento, disegnava il cerchio e sistemava i quattro elementi, però aveva bisogni di parlare con sua madre e avere delle risposte.
Si sedette al centro del cerchio e si concentrò sul proprio elemento per permettere alla mente di abbandonare il piano terreno, poi invocò la Dea, come gli era stato insegnato a fare, perché lo supportasse nella sua ricerca. Tenne gli occhi chiusi ed entrambe le mani appoggiate sull’athame mentre focalizzava i propri pensieri sull’oggetto dell'invocazione.
« Madre… » mormorò. « Madre, se mi senti, ti prego, rispondimi. Ho bisogno di sapere… »
Più profonda diventava la sua concentrazione, più l’oscurità sembrava diventare tangibile. Il calore del fuoco, che sempre lo avvolgeva durante gli incantesimi, venne gradualmente meno, lasciandolo tremante nel buio.
C’era una figura nell’ombra, lontana e indistinta, verso cui Keith tentò di protendersi.
« Madre, sei tu? Parlami, per favore! »
La sagoma allungò entrambe le braccia verso di lui e Keith si sforzò di nuovo di afferrarle. Sentiva freddo, tremava da capo a piedi e avrebbe desiderato che il fuoco fosse lì a riscaldarlo, ma quello che stava tentando di fare era più importante di qualsiasi disagio.
Tentò di nuovo di spingersi verso la sagoma scura.
« Madre, dimmi se sei tu… »
Una minuscola parte della sua mente percepiva le proprie mani sull’athame, ancora immobili. Lo spirito non rispondeva alle sue invocazioni, sembrava però volerlo attirare verso di sé.
Quando il freddo divenne troppo da sopportare, tentò di evocare il fuoco per riscaldarsi almeno un po’, non avrebbe potuto proseguire in quello stato, ma la fiammella che si materializzò davanti ai suoi occhi venne immediatamente risucchiata dallo spirito nero che aveva di fronte.
Quel gesto finalmente gli chiarì che lo spirito al suo cospetto aveva intenzioni tutt’altro che benevole e l’ansia iniziò a farsi strada dentro di lui. Istintivamente tentò di allontanarsi, di risvegliarsi dallo stato di trance, ma qualcosa lo teneva avvinto, prosciugando la sua energia. Era quasi sul punto di lasciarsi andare, esausto, quando un’improvvisa luce azzurra gli balenò davanti agli occhi. Un istante e lo schermo di una barriera si frappose tra lui e lo spirito. Era una barriera scintillante, lucida come vetro e più resistente di qualunque materiale di sua conoscenza. L’aveva già vista una volta, tempo prima…
Quando Keith riprese conoscenza, era disteso sul pavimento della sua stanza, ancora all’interno del cerchio, la rozza tavola ouija e l’athame caduti a lato delle sue gambe. Impiegò qualche istante a realizzare che non stava tremando per il freddo, che l’ombra oscura era sparita e che non era solo nella stanza. Girò a fatica la testa e si trovò davanti Lance e Allura, a loro volta seduti sul pavimento, ma fuori dal cerchio. La giovane donna aveva un’espressione severa, mentre il ragazzo sembrava stremato.
« Cosa ti avevo detto a proposito di usare la magia con coscienza? » esordì la capo villaggio. « Come ti senti ora? »
Keith si prese un attimo per analizzare le sensazioni del suo corpo e ne dedusse di essere ancora tutto intero.
« Bene, direi. Cos’è successo? »
« È successo che ti sei messo a evocare uno spirito tutto da solo, stupido idiota! Un’evocazione non si fa mai da soli! » sbottò Lance, sollevando la testa dalla spalla di Allura, dov’era appoggiato. « Oltretutto hai evocato uno spirito maligno che si stava cibando del tuo potere! Se non me ne fossi accorto saresti morto! »
Solo in quel momento Keith si rese conto che l’altro tremava leggermente e la sua voce era sul punto di spezzarsi a ogni parola.
« È stato Lance a venirmi a chiamare perché ha percepito che eri in pericolo. » aggiunse Allura. « Ed è stato lui a creare la barriera che ti ha salvato mentre io allontanavo lo spirito maligno. Hai agito in maniera irresponsabile, poteva finire molto male. »
Keith abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole, sentimento però mitigato dal ricordo del motivo per cui aveva agito. Non era stato un capriccio, ma una necessità per lui.
« L’ho fatto perché volevo sapere da mia madre perché mi ha abbandonato! Perché non è rimasta a insegnarmi a usare questo potere! » esclamò, sollevandosi a sedere nonostante la debolezza che pervadeva le sue membra. « Volevo sapere cosa le è successo e perché è stata costretta a lasciarmi! »
Allura lo fissò intensamente e il giovane si preparò a una nuova strigliata, ma la capo villaggio sospirò.
« Hai agito molto avventatamente ma forse un risultato l’hai ottenuto. » disse. « Hai cercato Krolia tra i morti e non l’hai trovata. Questo potrebbe essere dovuto alla tua inesperienza o allo spirito che ha tentato di assalirti, certo, ma potrebbe anche significare che lei non si trovava là. Che sia ancora viva, anche se nessuno di noi sa dove. »
Keith non poteva credere alle proprie orecchie.
« Hai detto Krolia? La conoscevi? La conoscevi e per tutto questo tempo non mi hai detto niente! »
« In realtà non ne sono ancora del tutto certa, ma esiste un modo per provarlo. Sciogli il cerchio e vieni con me, ti mostrerò una cosa importante e se verrà fuori che sei davvero il figlio di Krolia, allora sarà la tua eredità. »
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: verde
Personaggi: Keith Kogane, Lance McClain, Allura
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Partecipa alla Writing Week di Fanwriter.it - Lista Witchcraft
Word count: 1216
La prima volta che Keith aveva visto una tavola ouija era stato a casa di Allura durante una delle sue spiegazioni sull’etica della magia. La capo villaggio era stata molto chiara su quali fossero gli usi propri e impropri del potere magico, su quali fossero implicazioni e conseguenze, e sulle responsabilità da assumersi ogni volta che si lanciava un incantesimo.
Riguardo a quell’oggetto, gli aveva spiegato cosa fosse come funzionasse, ma lo aveva anche messo in guardia su quanto fosse pericoloso il suo utilizzo. Entrare in contatto con il mondo degli spiriti poteva essere un rischio anche per la strega più dotata, il desiderio di parlare di nuovo con una persona che aveva perso poteva diventare talmente forte da impedire il ritorno nel mondo terreno.
Keith aveva ascoltato e compreso tutto quello che Allura gli aveva spiegato, ma c’era un pensiero fisso, che lo tormentava dal momento in cui era venuto a conoscenza delle sue vere origini: perché sua madre lo aveva abbandonato? Se i suoi poteri derivavano da lei, perché non si era presa cura di lui, non lo aveva cresciuto come ogni altro genitore? Cosa lo aveva impedito? Era morta a causa della persecuzione? Tutte domande senza risposta, dubbi che nessuno avrebbe potuto sciogliere. Nessuno tranne forse quella apparentemente innocua tavoletta.
Non potendo, per ovvi motivi, chiedere in prestito quella di Allura, Keith se l’era costruita da solo, nel tempo libero dall’apprendistato. Non era perfetta e probabilmente non si poteva nemmeno considerare un oggetto di potere, ma durante le lezioni con Lance aveva imparato che costruirsi da sé gli strumenti per un incantesimo importante conferiva loro maggiore energia. Per questo motivo aveva creato da solo anche le candele e avrebbe utilizzato l’athame di sua madre come planchette.
Aveva aspettato una sera in cui tutti erano impegnati con i preparativi per la festa di Ostara, in modo da essere certo che nessuno entrasse, neanche per sbaglio, nella piccola dependance della casa di Lance che gli era stata assegnata come stanza provvisoria.
Forse quello che stava facendo era imprudente, pensò mentre sistemava le candele e la tavola sul pavimento, disegnava il cerchio e sistemava i quattro elementi, però aveva bisogni di parlare con sua madre e avere delle risposte.
Si sedette al centro del cerchio e si concentrò sul proprio elemento per permettere alla mente di abbandonare il piano terreno, poi invocò la Dea, come gli era stato insegnato a fare, perché lo supportasse nella sua ricerca. Tenne gli occhi chiusi ed entrambe le mani appoggiate sull’athame mentre focalizzava i propri pensieri sull’oggetto dell'invocazione.
« Madre… » mormorò. « Madre, se mi senti, ti prego, rispondimi. Ho bisogno di sapere… »
Più profonda diventava la sua concentrazione, più l’oscurità sembrava diventare tangibile. Il calore del fuoco, che sempre lo avvolgeva durante gli incantesimi, venne gradualmente meno, lasciandolo tremante nel buio.
C’era una figura nell’ombra, lontana e indistinta, verso cui Keith tentò di protendersi.
« Madre, sei tu? Parlami, per favore! »
La sagoma allungò entrambe le braccia verso di lui e Keith si sforzò di nuovo di afferrarle. Sentiva freddo, tremava da capo a piedi e avrebbe desiderato che il fuoco fosse lì a riscaldarlo, ma quello che stava tentando di fare era più importante di qualsiasi disagio.
Tentò di nuovo di spingersi verso la sagoma scura.
« Madre, dimmi se sei tu… »
Una minuscola parte della sua mente percepiva le proprie mani sull’athame, ancora immobili. Lo spirito non rispondeva alle sue invocazioni, sembrava però volerlo attirare verso di sé.
Quando il freddo divenne troppo da sopportare, tentò di evocare il fuoco per riscaldarsi almeno un po’, non avrebbe potuto proseguire in quello stato, ma la fiammella che si materializzò davanti ai suoi occhi venne immediatamente risucchiata dallo spirito nero che aveva di fronte.
Quel gesto finalmente gli chiarì che lo spirito al suo cospetto aveva intenzioni tutt’altro che benevole e l’ansia iniziò a farsi strada dentro di lui. Istintivamente tentò di allontanarsi, di risvegliarsi dallo stato di trance, ma qualcosa lo teneva avvinto, prosciugando la sua energia. Era quasi sul punto di lasciarsi andare, esausto, quando un’improvvisa luce azzurra gli balenò davanti agli occhi. Un istante e lo schermo di una barriera si frappose tra lui e lo spirito. Era una barriera scintillante, lucida come vetro e più resistente di qualunque materiale di sua conoscenza. L’aveva già vista una volta, tempo prima…
Quando Keith riprese conoscenza, era disteso sul pavimento della sua stanza, ancora all’interno del cerchio, la rozza tavola ouija e l’athame caduti a lato delle sue gambe. Impiegò qualche istante a realizzare che non stava tremando per il freddo, che l’ombra oscura era sparita e che non era solo nella stanza. Girò a fatica la testa e si trovò davanti Lance e Allura, a loro volta seduti sul pavimento, ma fuori dal cerchio. La giovane donna aveva un’espressione severa, mentre il ragazzo sembrava stremato.
« Cosa ti avevo detto a proposito di usare la magia con coscienza? » esordì la capo villaggio. « Come ti senti ora? »
Keith si prese un attimo per analizzare le sensazioni del suo corpo e ne dedusse di essere ancora tutto intero.
« Bene, direi. Cos’è successo? »
« È successo che ti sei messo a evocare uno spirito tutto da solo, stupido idiota! Un’evocazione non si fa mai da soli! » sbottò Lance, sollevando la testa dalla spalla di Allura, dov’era appoggiato. « Oltretutto hai evocato uno spirito maligno che si stava cibando del tuo potere! Se non me ne fossi accorto saresti morto! »
Solo in quel momento Keith si rese conto che l’altro tremava leggermente e la sua voce era sul punto di spezzarsi a ogni parola.
« È stato Lance a venirmi a chiamare perché ha percepito che eri in pericolo. » aggiunse Allura. « Ed è stato lui a creare la barriera che ti ha salvato mentre io allontanavo lo spirito maligno. Hai agito in maniera irresponsabile, poteva finire molto male. »
Keith abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole, sentimento però mitigato dal ricordo del motivo per cui aveva agito. Non era stato un capriccio, ma una necessità per lui.
« L’ho fatto perché volevo sapere da mia madre perché mi ha abbandonato! Perché non è rimasta a insegnarmi a usare questo potere! » esclamò, sollevandosi a sedere nonostante la debolezza che pervadeva le sue membra. « Volevo sapere cosa le è successo e perché è stata costretta a lasciarmi! »
Allura lo fissò intensamente e il giovane si preparò a una nuova strigliata, ma la capo villaggio sospirò.
« Hai agito molto avventatamente ma forse un risultato l’hai ottenuto. » disse. « Hai cercato Krolia tra i morti e non l’hai trovata. Questo potrebbe essere dovuto alla tua inesperienza o allo spirito che ha tentato di assalirti, certo, ma potrebbe anche significare che lei non si trovava là. Che sia ancora viva, anche se nessuno di noi sa dove. »
Keith non poteva credere alle proprie orecchie.
« Hai detto Krolia? La conoscevi? La conoscevi e per tutto questo tempo non mi hai detto niente! »
« In realtà non ne sono ancora del tutto certa, ma esiste un modo per provarlo. Sciogli il cerchio e vieni con me, ti mostrerò una cosa importante e se verrà fuori che sei davvero il figlio di Krolia, allora sarà la tua eredità. »