fairy_circles: (Hetalia F.R.I.E.N.D.S)
[personal profile] fairy_circles
Titolo: Se avessimo una vita in più...
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: verde
Personaggi:Gilbert Weillschmidt (Prussia), Elizaveta Hédervary (Ungheria)
Pairings: Prussia/Ungheria
Riassunto: "A volte gli piaceva indugiare in distorte fantasie, dove nulla era cambiato e Roderich non era entrato nelle loro vite mandando tutto all’aria, o ancora, quando l’alcool gli permetteva di creare strani bivi nella sua stessa storia, di immaginare come sarebbe stato se alcune cose fossero state diverse, se semplicemente alcune parole fossero state pronunciate."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Collegata alla fic Marry you, alla quale è presente qualche piccolo riferimento. Vagamente ispirata alla canzone di Cesare Cremonini I love you.
Beta: mystofthestars
Word count: 1231 (fdp)

Per qualche motivo aprire gli occhi gli risultò più difficoltoso di quanto pensasse e quando finalmente ci riuscì, Gilbert scoprì di avere una guancia incollata al ripiano di un tavolino del Movida. Tutto quello che rientrava nel suo limitato campo visivo non erano altro che bagliori riflessi ed etichette colorate, segno che tutto attorno a lui vi erano innumerevoli bottiglie di birra. Non ricordava esattamente come fosse finito lì, quello che la sua testa dolorante riusciva a stento a mettere insieme era un’immagine di Antonio che lo invitava a smettere di bere, sia per il suo bene che per il decoro del locale che gestiva. Era fine estate e vedere un ubriaco addormentato sui tavolini all’aperto non era un bello spettacolo. Non che a Gilbert importasse molto delle opinioni altrui, lui era magnifico qualunque cosa facesse, semplicemente gli sarebbe piaciuto ricordare cosa lo aveva spinto a ridursi in quel modo. Di solito beveva per festeggiare e anche il solo fatto di essere così splendido era un valido motivo, ma l’amaro che sentiva in fondo alla gola gli suggeriva che doveva esserci dell’altro.
«Gilbert! »
La voce che gli rimbombò nelle orecchie lo costrinse, in qualche modo, a scollare la guancia dal tavolino e alzare la testa. Quando il mondo smise di vorticargli attorno, riuscì a mettere a fuoco la figura che gli stava di fronte. Vestiva un leggero abito verde, aveva lunghi capelli scuri, due buste in mano e un’espressione imbronciata.
«Non puoi essere già ubriaco a quest’ora! » sbottò. «Datti una regolata o finirai per rovinarti la salute! »
Gilbert rimase a fissarla per un attimo poi scoppiò in una risata sguaiata. Quella donna gli faceva la ramanzina permettendosi di mettere bocca in quello che poteva o non poteva fare, senza sapere assolutamente nulla. Ora gli era tutto chiaro, capiva perfettamente il motivo del suo trovarsi lì in quel momento, di tutte le bottiglie di birra sparse attorno e del mal di testa martellante. Era tutta colpa sua.
«Eliza! » esclamò con voce strascicata, calcando il tono derisorio. «Da quando hai del tempo da perdere con me? Non hai un cagnolino a cui dare da mangiare che ti aspetta a casa? »
L’espressione della ragazza si fece di colpo più triste e le sue dita si strinsero attorno ai manici dei sacchetti. Sapeva che quello era stato un colpo basso ma gl’importava poco. Dopotutto lei non era stata più carina nei suoi confronti.
«Finiscila, Gil, sai benissimo che non smetterò di preoccuparmi per te nemmeno se m’insulterai. » gli rispose stancamente.
Ed in effetti era così, per quanto Gilbert potesse negarlo, e lo aveva fatto più volte, il legame che esisteva tra loro era indissolubile. Riportare alla mente certi ricordi quando era in quello stato poteva essere deleterio, ma il tedesco non poteva fare a meno di ricordare la loro infanzia insieme, le liti durante la scuola e i dubbi sulle proprie inclinazioni sessuali quando era stato convinto di avere a che fare con un maschio. Poi erano cresciuti, si erano trovati quasi per caso a condividere l’appartamento nel palazzo dell’amministratore Francis ed Elizaveta si era fidanzata. Gilbert ricordava quello come uno dei periodi più brutti della sua vita, costantemente permeato dalla voglia di prendere a pugni quel damerino strimpellatore da strapazzo. Lo aveva sopportato finché la sua pazienza glielo aveva concesso, ma poi quell’idiota aveva osato tradire la ragazza ad un passo dall’altare, con il suo tuttofare oltretutto, e da allora Gilbert gli aveva giurato odio eterno. Aveva consolato Elizaveta e aveva picchiato a dovere Roderich, ma tutto questo non era stato sufficiente e non aveva impedito ai due, alla lunga, di fare pace. Quando avevano annunciato le nozze, questa volta per davvero, era stato un duro colpo per lui, che lo aveva fatto sentire tradito. Il suo orgoglio gli aveva impedito di fare una scenata, non si sarebbe mai abbassato a chiedere alla ragazza di stare con lui e non con il damerino austriaco, quindi ogni ipotetica relazione che c’era stata finora tra loro poteva considerarsi conclusa.
Di quello che era successo dopo, la mente confusa di Gilbert ricordava e riusciva a focalizzare molto poco. Tutto era un susseguirsi di sbronze, serate di totale sballo e giornate in cui si reggeva in piedi a stento. Poco importava che gli amici l’avessero messo in guardia sulla pericolosità del suo comportamento o che al lavoro gli avessero fatto presente che stava rovinando la sua immagine e presto nessuno lo avrebbe più richiesto come modello, solo i rimbrotti di Elizaveta sembravano in grado di riportarlo alla realtà.
Come in quel momento.
«Non t’insulterò. Anche tu sai che non lo farò. » disse spostando una bottiglia dal piano del tavolo e dando un calcio alla sedia di fronte per invitarla ad accomodarsi.
Gilbert non era mai stato un gran signore, nonostante le sue pretese di magnificenza. Era l’esatto contrario di Roderich e lo sapeva, lo sapevano entrambi. Elizaveta però si sedette ugualmente.
«Ne è passato di tempo dall’ultima volta che abbiamo parlato. » disse. «Non ti sei ancora rassegnato?»
Gilbert non si sprecò nemmeno a guardarla male, tanto erano sempre gli stessi inutili discorsi.
«Se non mi sono rassegnato sono fatti miei, sono un tipo perseverante, io. Tanto lo so che prima o poi ti renderai conto che quel damerino che hai sposato non fa per te. »
Inclinò il capo e ghignò.
«Ma guardati, ha fatto di te la sua domestica. Fai la spesa per lui, gli prepari pranzo e cena e poi…»
Indicò il sacchetto del negozio di dischi che la ragazza aveva appoggiato al tavolo.
«… Gli porti anche un regalino? Era questa la felicità che sognavi? Che ne è stato del tuo lavoro? »
La vide abbassare gli occhi e per un attimo non riuscì a gioire di aver colpito nel segno.
«L’ho lasciato. Non sarei mai riuscita a seguire Roderich in tournèe altrimenti. » fu la risposta. «Comunque è così che si fa in una coppia, ci si aiuta a vicenda. »
«E lui quando ti avrebbe aiutato? E in cosa? Forse nel trasformarti nella sua bambolina? Bah! Non sei più l’Eliza che conoscevo! »
A volte gli piaceva indugiare in distorte fantasie, dove nulla era cambiato e Roderich non era entrato nelle loro vite mandando tutto all’aria, o ancora, quando l’alcool gli permetteva di creare strani bivi nella sua stessa storia, di immaginare come sarebbe stato se alcune cose fossero state diverse, se semplicemente alcune parole fossero state pronunciate. Quella sera, quando l’aveva trovata in lacrime per il tradimento dell’austriaco, se avesse avuto la forza di pronunciare quella frase che gli era ronzata in testa per tutto il tempo, se l’avesse fatto davvero, di certo ora sarebbe stato tutto diverso. O forse no, ma almeno non avrebbe avuto il rimpianto a mordergli lo stomaco.
«Ti sposo io! Anche subito, nella cappelletta in fondo alla strada, senza dire niente a nessuno. »
Sarebbe stato fantastico ma ovviamente era pura fantasia.
Elizaveta guardò l’orologio e quel piccolo sogno a tempo determinato, quell’immagine di vita insieme, s’infranse come i cocci di una bottiglia di birra precipitata sul selciato.
«Devo andare, Rod mi aspetta a casa. »
Non avrebbe mai saputo cosa significasse averla solo per sé e piuttosto che prenderne consapevolezza tanto valeva che fosse l’alcool ad avere il sopravvento.
A malapena sentì il rumore strascicato della sedia sull’asfalto e il ticchettare dei tacchi che si allontanavano. Di certo non si era nemmeno voltata a dargli un ultimo sguardo, si ritrovò a pensare Gilbert prima di crollare si nuovo con la testa sul tavolo.

Riprendere conoscenza gli diede la sensazione di essere appena sceso da un ottovolante. Impiegò qualche istante a realizzare dove si trovasse, la stanza che lo circondava e il fatto di essere sdraiato su un letto e non su un tavolino all’aperto. Ne impiegò altrettanti per ricordare di essere andato a dormire con le proprie gambe e di non essere crollato ubriaco da qualche parte
Quando abbassò lo sguardo e vide una chioma scura sparsa sul suo petto, capì finalmente cos’era successo e sospirò di sollievo: mai più pizza ai peperoni per cena.
Per il resto, quel giorno era domenica e se la poteva prendere comoda. Circondò con un braccio le spalle di Elizaveta, facendo attenzione a non svegliarla, e chiuse nuovamente gli occhi.

Power of Dreams

"Posso accettare di pentirmi di aver seguito un sogno che non sono riuscito a realizzare, ma non voglio pentirmi di aver rinunciato a inseguirlo."

Takagi "Shujin" Akito

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