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Titolo: Rainstorm night
Fandom:
Rating: verde
Personaggi: Akira, Ray, Kala
Pairings: Akira/Ray
Disclaimer: nessun disclaimer, i personaggi sono miei!
Note: Collegata a "...E sono già solo", meglio leggere prima quella per capire il contesto.
Questa storia partecipa al contest “Rainy time” a cura di Fanwriter.it. Prompt: Quando piove, ad A tornano in mente ricordi spiacevoli.
Beta:
Word count:
1374

Aveva iniziato a piovigginare all’imbrunire e, con il trascorrere delle ore, il tempo era andato sempre più peggiorando. Era ormai notte inoltrata quando venni svegliato dallo scoppio fragoroso di un tuono.
Dopo il primo istante di allarme, realizzai che si trattava solamente di un temporale e feci per rigirarmi nel letto, ma uno strano movimento mi fermò. Ray si era allontanato da me, rintanandosi sul bordo del materasso.
Il giovane falco e la sua sorellina Kala, si erano presentati alla mia porta poco dopo il tramonto, intirizziti e fradici fino alle ossa.
« Se piove non posso volare. » aveva borbottato Ray, come giustificazione. « Le ali bagnate sono pesanti. »
Avevo sorriso, perfettamente consapevole che le prime parole pronunciate dal ragazzo ogni volta che bussava alla mia porta erano al 90% delle scuse. A me però non importava, quello che contava era che Ray tornasse a casa - quella che ormai, speravo, avesse cominciato a considerare casa. Sarebbe venuto il momento in cui non avrebbe più sentito il bisogno di accampare giustificazioni, ma non intendevo mettergli fretta: Ray era il tipo che si muoveva secondo i suoi ritmi, non era consigliabile fargli pressione.
Da sotto una delle grandi ali brune, ripiegate lungo i suoi fianchi, era spuntata una bambina bionda, dall’aspetto fragile e gentile, che aveva ricambiato il mio sorriso.
« Buonasera, Akira. » mi aveva salutato cortesemente.
« Buonasera a te, Kala. » avevo risposto, per poi rivolgermi al fratello maggiore. « Guardala, Ray, è tutta bagnata. Perché non siete venuti prima, invece di inzupparvi in questo modo? »
Avevo fatto loro spazio per entrare, ma Ray non si era mosso.
« Eri al lavoro. » aveva brontolato, imbronciandosi.
Ero tornato sui miei passi e gli avevo accarezzato una guancia, badando, con quel gesto, di non rischiare di farmi staccare una mano. Ray reagiva sempre in modo imprevedibile ai gesti teneri.
« Potevate entrare lo stesso. Sai che potete considerarla anche casa vostra. » avevo detto.
Ray non aveva risposto, ma aveva spinto avanti Kala per indurla a entrare, prima di spalancare le ali, scrollarle dall’acqua e seguirla.
Era stata una serata inaspettatamente tranquilla: avevamo cenato e avevo scaldato l’acqua per permettere sia a Ray che a Kala di fare un bagno che avrebbe tolto loro di dosso il freddo della pioggia.
Ci eravamo coricati presto, mentre il tempo fuori andava peggiorando, Ray nel letto con me e Kala nella piccola brandina che avevano costruito apposta per lei. Avevo dovuto sudare sette camicie per convincere il mio amato falco che qualsiasi altra combinazione diversa da quella attuale sarebbe stata scomoda per qualcuno e Ray mi aveva assecondato senza lesinarmi un’occhiataccia.
Nonostante le premesse non proprio incoraggianti, Ray si era lasciato abbracciare sotto le coperte e mi ero addormentato sereno. Almeno fino a quando quel tuono fragoroso non mi aveva svegliato.
Ray non era più accanto a me e, quando i miei occhi si abituarono all’oscurità, ne individuai la sagoma sul bordo del letto. Mi azzardai ad allungare una mano ma vidi il suo corpo fremere ancora prima che lo toccassi.
Indeciso, rimasi immobile, chiedendomi se per caso stesse male e cosa potessi fare per aiutarlo. Non avevo idea di come la natura di Ray potesse influire sulla sua salute, se l’anima del falco rendesse la sua struttura fisica diversa da quella di un qualsiasi essere umano.
Mentre ancora mi chiedevo come comportarmi, sentii un fruscio di lenzuola provenire dalla brandina dove dormiva Kala e uno scalpiccio leggero fino al mio letto.
« Fratellone… posso dormire con te? » sussurrò la bambina, a malapena udibile sopra lo scroscio del temporale.
Ray smise per un attimo di tremare e alzò la testa. Annuì brevemente e l’accolse nel minuscolo spazio accanto a sé, finendo così con la schiena di nuovo contro il mio petto.
Istintivamente, lo circondai con le braccia, sfiorando nel frattempo i capelli di Kala.
« Stai bene? » mormorai.
Ray probabilmente mi avrebbe risposto nel suo solito tono secco e poco incline alla gentilezza, se nel cielo non fosse esploso l’ennesimo tuono e, per reazione, non avesse affondato il volto tra i capelli chiari della sorellina. Kala lo abbracciò a sua volta, passando lentamente le piccole mani sulla sua schiena.
Nella penombra incrociai i suoi occhi e mi fu subito chiaro che, dei due, non era lei quella spaventata. Avrei voluto fare domande, ma l’istinto mi suggeriva che non fosse il momento adatto, quindi mi limitai a godere del calore di Ray contro la pelle.
Trascorsero i minuti, portandomi di nuovo sull’orlo del sonno, avvolto dal torpore e dal silenzio, interrotto improvvisamente dalla voce di Ray.
Era appena un sussurro, che sovrastava il respiro profondo e regolare della bambina addormentata.
« Pioveva quando il Cacciatore mi consegnò alla Scuola. Non sapevo dove mi trovassi, non avevo idea di cosa stesse succedendo. Pioveva forte, un temporale tremendo, avevo le ali inzuppate e non riuscivo a volare. »
Sentii un tremito attraversarlo. Continuò a darmi le spalle, il volto affondato nei capelli di Kala ma la schiena appoggiata a me, come in cerca di conforto. Di riflesso, lo strinsi un po’ di più.
« Ero giovane e sciocco, accecato da… dall’amore? »
Un breve sbuffo sarcastico.
« Che idiota. Mi hanno chiuso in una gabbia e io ancora mi chiedevo perché lui non fosse lì con me. Ci sono voluti i bisturi per farmelo capire. »
Questa volta fui io a rabbrividire: potevo solo immaginare gli orrori a cui era stato sottoposto dopo il tradimento del Cacciatore. Mi stupivo sempre meno che Ray fosse così instabile emotivamente e tanto diffidente verso il prossimo. Quei rari momenti in cui si apriva con me e mi svelava i suoi pensieri, erano i più preziosi.
« Odio i temporali. Odio non poter volare. Significa che non ho via di fuga e non lo posso tollerare. Non tornerò in una gabbia. »
Le sue parole erano sempre sussurrate, per non svegliare Kala, ma vibravano di un terrore sottinteso che non potevo ignorare.
Mi sporsi appena in avanti e gli posai un bacio sui capelli.
« Non ci sarà mai più nessuna gabbia, te lo prometto. La nostra casa avrà tutte le finestre che vorrai e potrai tenerle spalancate anche durante i temporali. Si tratterà solo di asciugare il pavimento allagato, dopo. »
Impiegai un istante a capire che il rumore soffocato che sentivo era quello di una risata trattenuta.
« Sei matto. » sentenziò dopo un attimo.
Si voltò verso di me e, per un attimo, i suoi occhi verdi, da rapace, baluginarono nel buio.
« Ma ci provi davvero. Ci credi. Ed è così assurdo che è quasi bello sentirtelo dire. »
Sorrisi, accarezzandogli una guancia.
« Forse è assurdo, ma ci credo solo perché farei di tutto per te. »
Probabilmente avevo superato il limite, perché Ray roteò gli occhi e tornò a darmi le spalle.
« Troppo sdolcinato, in effetti. Hai ragione. » ammisi, ridendo di me stesso.
Ray si raggomitolò su sé stesso e tornò ad avvolgere Kala tra le braccia. Stavamo stretti in tre nel mio letto, ma sentirlo vicino mi ripagava di ogni scomodità.
« Smettila di dire stupidaggini e dormi. Questa conversazione non è mai avvenuta. » lo sentii borbottare.
Fuori continuava a piovere, ma sembrava che lo scroscio fosse meno insistente. Forse il temporale si stava allontanando.
Strinsi le braccia attorno alla vita di Ray e gli posai un bacio tra il collo e la spalla, dove la maglia gli lasciava un tratto di pelle scoperta.
« Quale conversazione? » mormorai sorridendo. « Buonanotte. Ti amo. »
Ray grugnì in risposta, apparentemente seccato, ma sapevo che stava meglio.
Ogni volta che glielo dicevo, reagiva in modo infastidito e non aveva mai ricambiato ma, a poco a poco, avevo notato piccoli cambiamenti che mi avevano portato a capire il suo stato d’animo. Ray si tranquillizzava quando gli dicevo che lo amavo, come se avesse costante bisogno di conferme.
Lo so, era strano, considerando che all’inizio aveva rifiutato seccamente i miei sentimenti. Eppure… eppure ora si lasciava abbracciare e si confidava con me.
Mentre chiudevo gli occhi a mia volta, ringraziai quel temporale provvidenziale che, con i suoi tuoni fragorosi, mi aveva permesso di conoscere un’altra piccola parte della persona che amavo.
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"Posso accettare di pentirmi di aver seguito un sogno che non sono riuscito a realizzare, ma non voglio pentirmi di aver rinunciato a inseguirlo."

Takagi "Shujin" Akito

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