fairy_circles (
fairy_circles) wrote2018-01-23 04:41 pm
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[Voltron] A Lance (non) piacciono (solo) le bionde (pt. 2)
Titolo: A Lance (non) piacciono (solo) le bionde (pt. 2)
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: verde
Personaggi: Lance McClain, Keith Kogane, Hunk Garrett, Takashi "Shiro" Shirogane, Pidge Gunderson/Katie Holt
Pairings: pre-Keith/Lance
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Parte della Friends!AU.
Beta: Myst
Word count: 3999
« Me ne vado. »
« In che senso, te ne vai? Dove? Perché? »
« Lascio l'appartamento. Ho fatto un casino, non posso più restare qui. »
« Un casino? Cosa...? »
« Scusami, Shiro. Non cambierò idea. »
Quando Shiro era sceso al piano di sotto a casa dell'amico, per informarsi sulla situazione sentimentale travagliata che stava attraversando, non si sarebbe mai aspettato di trovarlo in quello stato.
Keith era completamente zuppo, con un livido sullo zigomo che stava diventando sempre più viola e delle macchie sulla camicia che suggerivano immagini cruente. Inoltre era seduto per terra, nella sua stanza, intento a infilare alla rinfusa in un borsone il caos di vestiti che aveva tolto dall'armadio.
Doveva essere successo qualcosa di grosso, che di certo aveva a che fare con Lance e con la sua nuova ragazza.
« Senti. » iniziò Shiro, tentando di mostrarsi il più ragionevole possibile. « Qualunque sia il problema, andarsene in questo modo non è una soluzione. Perché non ne parli con Lance? »
Keith lo guardò come se fosse impazzito.
« Parlare con Lance è l'ultima cosa al mondo che devo fare in questo momento. » affermò, ma la sua voce suonò piuttosto tremula. « Però hai ragione, non posso andarmene così, devo parlare con Allura. Il contratto d'affitto è intestato a me, devo chiederle di cambiarlo e intestarlo a Lance o Hunk. Mi ospiterai per qualche giorno? »
Un sospiro sfuggì dalle labbra di Shiro: avrebbe fatto di tutto per aiutare quello che considerava un fratello minore, ma non era scappando che avrebbe risolto i suoi problemi.
« Non mi renderò complice della tua fuga. »
Keith alzò le spalle.
« Lo immaginavo. Non importa, non sarebbe la prima volta che dormo dove capita. »
Chiuse la cerniera del borsone e se lo gettò su una spalla, alzandosi.
« Grazie lo stesso. Ti farò sapere il mio nuovo indirizzo appena possibile. »
« Keith… »
L’altro lo ignorò e si avviò verso l’ingresso.
« Allora ciao. »
Shiro si passò una mano tra i capelli, frustrato, allontanando il ciuffo candido dalla fronte.
Se si fosse trattato di chiunque altro, non avrebbe avuto problemi a pensare che stesse bluffando, ma Keith no, lo conosceva troppo bene e sapeva che stava dicendo sul serio. Avrebbe dormito dove capitava – in un parco, sotto un ponte, se era fortunato in qualche stazione – e avrebbe finito per mettersi nei guai. Come aveva detto, non sarebbe stata la prima volta.
« Aspetta, aspetta! »
Lo inseguì nell’ingresso e lo fermò afferrandolo per un braccio.
« Questa notte puoi stare da me, ma poi chiarirai con Lance, d’accordo? »
Keith non era il tipo da lasciarsi sopraffare dalle difficoltà della vita, aveva un carattere forte, che niente riusciva a piegare, Shiro stesso ne aveva avuta dimostrazione più volte. Eppure, era già la seconda occasione in pochi giorni in cui vedeva quell’espressione smarrita sul suo volto.
« Si può sapere cos’è successo? Mi sto preoccupando seriamente. Quello che hai sulla camicia è quello che penso che sia? »
Keith annuì mestamente.
« Ho picchiato Lance. »
« Oh, Keith… »
« E l’ho baciato. »
La sua voce s’incrinò di nuovo e una mano si sollevò in automatico a strofinare un occhio ancora asciutto.
« Gli ha fatto schifo. »
Ok, si disse Shiro, forse la situazione era peggiore di quanto pensasse.
Per quanto stentasse a credere a una reazione così dura da parte di Lance, aveva l'impressione che, qualunque cosa avesse detto in quel momento, Keith non l’avrebbe ascoltato, arroccato com’era nel suo dolore.
« Va bene, facciamo così. » disse, in tono conciliante. « Adesso sali da me, ti levi quella roba bagnata e ti fai una doccia prima di prenderti un raffreddore. Poi ordiniamo una pizza e decidiamo cosa fare, ok? »
Keith si avvicinò di un passo e appoggiò la testa sulla sua spalla.
« Ok… »
Continuava a piovere e, come se non bastasse, il sangue dal naso non aveva la minima intenzione di fermarsi. Dopo che Keith era corso via, Lance era rimasto imbambolato sotto la pensilina dell'autobus per qualche istante, con il cuore che batteva all'impazzata e indeciso sul da farsi. Da una parte, avrebbe voluto inseguirlo, chiedergli spiegazioni, ma, dall'altra, era perfettamente consapevole di non essere in grado di sostenere quella conversazione. Non in quel momento, almeno.
Per questo aveva tamponato il sangue alla meglio, con la manica della maglia, ed era tornato verso l'accademia. Lavare via quello scempio forse lo avrebbe aiutato anche a calmarsi e fare chiarezza.
Non badò agli sguardi allarmati delle persone che incrociò nell'atrio, mentre si dirigeva verso il più vicino dei bagni, ma non poté ignorare il richiamo di una voce conosciuta.
« Lance! Oh, mio Dio, ma che hai fatto? »
Hunk lo raggiunse di corsa, infilandosi in bagno assieme a lui, con espressione preoccupatissima.
« Hai avuto un incidente? Stai bene? Vuoi che chiami qualcuno? »
« No, no, Hunk! Calma! Sto bene! Sto bene, ok? Non è successo niente! » esclamò Lance chinandosi sul lavandino per sciacquarsi almeno la faccia.
« Non sembra che tu stia bene. Hai sgozzato qualcuno? »
Entrambi i ragazzi si voltarono stupiti all'indirizzo di chi aveva parlato.
« Pidge! Questo è il bagno degli uomini! » la rimproverò Hunk.
« E quindi? Non vi facevo così pudici. » ribatté lei, con una smorfia. « Piuttosto, Lance, non avrei mai pensato di dirlo, ma inizio a preoccuparmi. A giudicare dal livido che hai sulla guancia, più che incidente lo definirei scontro frontale e mi viene in mente solo un nome. »
Lance sospirò e si voltò lentamente a guardarla. Finalmente il sangue si era fermato ma, a giudicare dall'aspetto della sua maglia, sembrava davvero uscito dalla scena di un crimine. Ponderò per un attimo il da farsi, poi se la sfilò e la gettò nel lavandino. L'acqua si tinse subito di rosso.
Con la coda dell'occhio, vide Pidge dare una gomitata ad Hunk e l'amico annuire velocemente, come se si fosse appena reso conto di qualcosa.
« Ho una maglia di ricambio, vado subito a prendertela! » esclamò, sollecito. « Lo so che ti starà enorme, ma non puoi tornare a casa così. Prendo anche del ghiaccio, di certo in laboratorio ne avranno. »
Una volta che Hunk fu uscito, Pidge si appoggiò con apparente noncuranza ai lavandini.
« Keith, eh? »
Lance non si scomodò nemmeno a voltarsi, limitandosi ad annuire.
Dovevano averlo capito tutti e piano piano i pezzi stavano andando al loro posto anche nella sua testa, anche se ancora stentava a crederci.
« Ne sai qualcosa? »
« Solo che Shiro è mortalmente preoccupato per lui, non è sceso nei particolari. »
Lance picchiò un pugno sul ripiano, facendola sobbalzare.
« É assurdo! Totalmente assurdo! » esclamò, mentre la rabbia di poco prima tornava a salire. « Avevo una ragazza e stavo bene. Mi piaceva, le piacevo, quasi non potevo crederci. E adesso? Adesso lei mi ha lasciato, il responsabile mi ha picchiato senza motivo e poi mi ha baciato! Il mondo sta andando al contrario! »
Non si accorse della porta che si apriva e si chiudeva.
« Keith ti ha baciato?! » quasi urlò Hunk, sulla soglia con una maglia pulita e un sacchetto di ghiaccio tra le mani.
Pidge gli lanciò un'occhiata storta.
« Grazie, Hunk, ci serviva questa puntualizzazione. Lance, stai perdendo sangue di nuovo. Metti i polsi sotto l'acqua fredda. Ecco, da' qua, ci penso io. »
Lance la lasciò fare, appoggiandosi con la nuca alle piastrelle fresche mentre lei gli premeva un fazzoletto sul naso e il ghiaccio sullo zigomo.
Sì, il mondo andava al contrario, però, mentre se ne stava lì a occhi chiusi, poteva ancora sentire la sensazione delle labbra di Keith sulle sue, della sua bocca sulla pelle, delle sue mani sui fianchi. Affermare che fosse stato poco piacevole, sarebbe stata la peggiore delle bugie, così come dire che non l'aveva mai desiderato. Questo però non cambiava il fatto che Keith fosse fuori di sé e che, una volta realizzato quanto successo, ne fosse spaventato. Probabilmente non intendeva farlo, era stato un impulso e...
Scosse la testa, attirandosi i rimproveri di Pidge.
No, erano tutte stupidaggini. Non si bacia qualcuno per sbaglio, men che meno quando ci si sta prendendo a pugni.
Gli doveva una spiegazione.
Quella sera, però, Keith non rientrò e Lance scoprì che la sua camera era stata svuotata.
« Sono passate ventiquattro ore, dimmi perché non siamo ancora andati a denunciare la scomparsa?»
« Keith non è scomparso, Lance. Solo… non vuole farsi vedere, tutto qui. »
Era il pomeriggio del giorno successivo e Lance non riusciva più a stare con le mani in mano.
La sera prima, quando aveva trovato la stanza di Keith completamente vuota, era andato nel pallone e Hunk aveva impiegato quasi un’ora a convincerlo che di certo c’era una spiegazione logica, che non implicava che il loro coinquilino si fosse arruolato nella Legione Straniera. Poi aveva chiamato Pidge, per farsi dare l’indirizzo della biblioteca notturna dove Keith era andato a rifugiarsi in quei giorni, ma non l’aveva trovato nonostante avesse aspettato fino alla chiusura di mezzanotte. Quindi aveva telefonato a Shiro, sull’orlo di una crisi isterica. Tutto quello che ne aveva ricavato era stato il consiglio di tornare a casa e andare a dormire senza preoccuparsi.
Quindici ore dopo quella telefonata, non avevano ancora notizie.
« Shiro sa qualcosa! E non me lo vuole dire! »
Hunk trattenne a stento un gesto esasperato.
« È evidente che lo sappia, ma hai sentito Pidge. È preoccupato, si starà prendendo cura di Keith come può. »
« Questa cosa riguarda me! Perché nessuno me ne vuole parlare?! Ora vado di sopra e… »
Le mani di Hunk calarono pesantemente sulle sue spalle, costringendolo a sedersi sul divano.
« Questa sarebbe una pessima idea. Perché invece non stai qui e dai il tempo alle persone di chiarirsi le idee? Magari potresti farlo anche tu. Anzi, facciamo che ti preparo una camomilla così ti calmi. »
Lance era stanco di chi gli diceva di stare calmo. Non voleva stare calmo, voleva sapere dove accidenti si fosse cacciato Keith e perché l'avesse baciato. Il tutto possibilmente prima di avere un collasso nervoso.
Hunk aveva appena posato sul tavolo due tazze, quando sentirono la chiave girare nella serratura e Keith apparve sulla porta.
Non appena li vide, abbassò lo sguardo, assumendo l'espressione di chi avrebbe desiderato ardentemente di essere altrove.
« Ah... me ne vado subito, sono passato solo a lasciare... »
Accennò alle chiavi che teneva in mano, ma Lance balzò in piedi, interrompendolo.
« Si può sapere dove sei stato? » esclamò, avanzando a grandi passi verso di lui. « Ti ho chiamato un sacco di volte e avevi sempre il telefono spento! Sono venuto a cercarti in biblioteca! Ti ho aspettato tutta la notte! »
Keith si ritrasse istintivamente, ma Lance lo afferrò per un braccio: non intendeva lasciarlo scappare di nuovo, nonostante il pessimo risultato dell'ultima volta.
« Abbiamo trovato la tua senza vuota! Nessun avvertimento, nessuna telefonata, nessun biglietto! Che intenzioni avevi? Sparire senza dire niente a nessuno?! »
Keith tentò di divincolarsi.
« Avrei messo in regola l'affitto, prima. » borbottò.
Lance provò l'istinto di prenderlo a testate.
« COSA DIAVOLO VUOI CHE ME NE FREGHI DELL'AFFITTO?!? »
Keith gli rivolse uno sguardo di fuoco, fin troppo simile a quello infuriato che aveva sperimentato il giorno prima.
« Di che altro dovrebbe fregarti? »
« Come sarebbe? Ero preoccupato! É così difficile da capire? »
« Beh, non dovrai più farlo, dal momento che me ne vado. »
Lance emise un ringhio che non prometteva niente di buono e, con la mano libera, afferrò Keith per la stoffa della maglia.
« Starai scherzando! É totalmente ridicolo! »
« OK, BASTA! »
La voce di Hunk sovrastò quella di entrambi, mentre l'amico piombava in mezzo a loro e li separava a forza, tenendoli a distanza l'uno dall'altro.
« Sai cos'è ridicolo? Che cinque minuti fa ti stessi struggendo per la preoccupazione che Keith stesse bene e adesso tu lo voglia picchiare. »
Lance arrossì e, lì per lì, non riuscì a ribattere. Non ne avrebbe comunque avuto il tempo, perché Hunk si stava già rivolgendo a Keith.
« E tu! Tu sei un idiota fatto e finito se pensi davvero che le persone non si preoccupino per te! »
Dal momento che anche l'altro rimase a fissarlo basito, Hunk continuò imperterrito.
« Adesso ne ho davvero abbastanza! In questa casa non si vive più e così non si può andare avanti! Venite con me! Datevi una mossa e niente domande! »
Lance si lasciò guidare fino alla propria stanza, seguito da Keith che non azzardò nessuna protesta: Hunk non si arrabbiava mai, ma quelle rare volte che succedeva, faceva davvero paura.
Lo osservò procedere fino alla finestra, voltarsi e tornare sui propri passi. Si fermò sulla porta e si voltò a guardarli, fermi al centro della stanza.
« Vedete di trovare una soluzione. Questo è un ultimatum. » dichiarò.
Così dicendo uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Lo scatto della serratura suonò alle orecchie di Lance come una condanna definitiva.
« Hunk. Hunk... Hunk, ti prego... amico... fratello... non farmi questo. Soffro di claustrofobia. Hunk, per favore. Huuuuunk! »
L'unica risposta fu il rumore della porta di casa che si chiudeva.
Keith si lasciò scivolare contro l'anta dell'armadio fino a sedere per terra. Raccolse le gambe e appoggiò le braccia incrociate sulle ginocchia.
Era venuto solo perché Shiro aveva insistito, non aveva davvero intenzione di parlare approfonditamente con Lance. Se fosse dipeso da lui, avrebbe lasciato le chiavi, per poi non farsi vedere mai più. Invece si era realizzata la peggiore delle ipotesi.
Appoggiò la fronte sulle braccia e si rannicchiò su sé stesso: non era pronto a tutto questo, aveva bisogno di tempo per lasciarsi tutto alle spalle e guardare ai fatti con razionalità.
Sentì Lance lasciarsi cadere sul letto, dall'altro lato della stanza, ed emettere un lamento prolungato.
Lo sbirciò di sottecchi e sospirò.
« Ehi... soffri davvero di claustrofobia? »
Lance si alzò a sedere, agitando nervosamente una mano.
« Ah... beh... basta che non ci pensi troppo. Da piccolo, mia sorella mi chiudeva nell'armadio se la facevo arrabbiare e da allora i luoghi chiusi non mi fanno impazzire, ecco. E tu? »
Keith non si era aspettato di vedersi rigirare la domanda, quindi non ebbe il tempo di pensare a una risposta diversa dalla più semplice verità.
« Se anche ne avessi sofferto, avrei dovuto farmela passare dopo che, all'orfanotrofio, hanno iniziato a chiudermi nello sgabuzzino delle scope per dispetto. »
Keith non aveva mai trovato imbarazzante o disagevole parlare della propria infanzia a chi glielo chiedeva. Era abbastanza riservato da non raccontare spontaneamente i fatti propri, ma non si era mai fatto problemi a rispondere alle domande che gli venivano fatte. Aveva notato che, spesso, i suoi interlocutori erano a disagio quando nominava l'orfanotrofio o il fatto di non avere una famiglia, ma Keith non si era mai considerato uno di quei bambini di cui avere pietà. Semplicemente, le cose stavano così e farne un dramma non aveva senso.
Lance gli era sempre sembrato una delle rare persone che avevano compreso in fretta il suo punto di vista.
« Capisco. Come hai fatto a farli smettere? » fu infatti il suo unico commento in proposito.
« Ho iniziato a picchiarli. »
« Chiaro. »
Lance tornò a stendersi, Keith ad affondare la testa tra le braccia.
Nel giro di pochi minuti il silenzio e la sensazione di tensione si fecero insostenibili. Per tentare di sopportarli, si mise addirittura a compilare un elenco mentale degli argomenti di conversazione che avrebbe potuto introdurre.
- Vuoi che apra la finestra?
- Cosa ne pensi del prossimo esame di elettrotecnica?
- Come sta il tuo naso?
Anzi, no, quello non poteva chiederlo, si avvicinava troppo all'argomento tabù. Non c'era da stupirsi che Keith non fosse un gran conversatore, era così complicato! Però, almeno, l'istinto di alzare le mani se n'era andato. Forse non parlare affatto era la soluzione a quella situazione assurda.
« Senti. »
La voce di Lance spezzò il silenzio, strappandolo ai suoi ragionamenti.
Keith alzò la testa e lo guardò: aveva un'espressione seria, ma sembrava meno nervoso di prima.
« Non è che verresti un po' più vicino? » disse, aggiungendo poi velocemente: « Ah, non che sia spaventato o simili, per la storia della claustrofobia intendo. Solo che è sciocco che tu te ne stia lì per terra quando puoi sederti qui. Non ti aggredirò, promesso. »
Keith valutò l'idea per qualche istante, poi si alzò e lo raggiunse, sedendosi nell'angolo più lontano del letto.
Sembrava che non ci fosse modo di sfuggire a quel confronto, quindi tanto valeva affrontarlo. Dopotutto aveva già deciso di andarsene, quindi non aveva nulla da perdere.
« Se lo facessi, non avrei da ridire. Ti devo un naso sano e... altro. »
Lance scosse la testa, abbozzando un sorrisetto.
« Il mio naso sta bene, mi sono accorto subito che quella gomitata è stata un incidente. Questo però non ti giustifica per avermi fatto sembrare un killer agli occhi di mezza accademia. »
L'immagine di Lance che attraversava l'atrio della Garrison con la maglia sporca di sangue e attirava gli sguardi allarmati di tutti, strappò un sorriso anche a Keith.
« Già, mi dispiace. Mi dispiace per tutto quello che è successo, avevi ragione, sono stato un incivile. Parlerò con Nyma, le dirò che è stata tutta colpa mia e che non vi darò più fastidio. Vedrai che ti perdonerà e potrete... »
« Keith! »
La presa improvvisa sul suo polso e l'esclamazione di Lance lo fecero sussultare: non si era reso conto che si fosse avvicinato.
« Non devi fare niente, vorrei solo una risposta. Ho bisogno di saperlo. Perché mi hai baciato? »
Nonostante si fosse rassegnato a parlarne, Keith sentì ugualmente un brivido gelido corrergli lungo la schiena, mentre quegli occhi blu si fissavano nei suoi. Istintivamente, si sottrasse alla presa e balzò in piedi.
Faceva così dannatamente male che non riusciva nemmeno a guardarlo.
« Ascolta. » iniziò, chiudendo le mani a pugno nella speranza che lo facessero sembrare meno agitato. « Mi dispiace, davvero. Non dovevo farlo. Sono stato un cretino, non so cosa mi sia passato per la testa. Lo so che ti ha fatto schifo e lo capisco, sul serio. »
« Ma Keith... »
« Non hai bisogno di giustificarti, è comprensibile che tu sia a disagio. Ma quando me ne sarò andato potrai dimenticare quello che è successo. »
« Keith, io non voglio che tu te ne vada. »
« Ma non vuoi nemmeno che mi avvicini a te perché ti faccio ribrezzo, non è così? »
Lance strabuzzò gli occhi.
« Cosa?! Pensi davvero che fossi disgustato? Sei serio? Oh, cielo! »
Si portò una mano alla fronte, massaggiandosela per un istante, poi tornò a guardarlo.
« Comunque non hai risposto alla mia domanda. »
Keith iniziò a muovere alcuni passi nervosi per la stanza, impossibilitato a rimanere fermo.
« Non era chiaro? » borbottò.
« No, non lo era. Perché se lo fosse stato non mi sarei imposto di farmene una ragione e guardare altrove. Non lo era affatto e tuttora mi sembra fantascienza. »
Quella risposta portò Keith a bloccarsi e a voltarsi di scatto, incredulo.
Lance si alzò e lo raggiunse in mezzo alla stanza. Poteva vedere i suoi occhi cercare i propri in una muta richiesta di conferme. Conferme che Keith non aveva cuore di dargli.
« A differenza di te sono un gentiluomo, quindi te lo chiederò. » mormorò Lance avvicinandosi di più. « Posso baciarti? »
Keith sgranò gli occhi, incredulo di fronte a quella richiesta inaspettata. Il cuore gli batteva a mille, scalpitava come un cavallo impazzito, eppure, un istante dopo, una fredda consapevolezza scese su di lui.
Piano, con lo sguardo velato da un dolore rassegnato, scosse la testa.
« Lance, a te… »
S’interruppe un istante in cerca delle parole, poi continuò con un sospiro.
« A te piacciono le bionde, l’hai sempre detto. E io, beh, io non sono una bionda, mi sembra ovvio.»
Non era certo che l’altro avesse colto il senso del discorso, ma si sentiva già abbastanza male a farlo in quella forma.
Tuttavia Lance lo stupì per l’ennesima volta e gli sorrise.
« Forse non te ne sei mai reso conto ma non mi piacciono solo le bionde. » disse. « Apprezzo molto anche i mori e posso dire di essere totalmente soddisfatto del mio colore di capelli visto che a te le bionde non piacciono affatto. Adesso che siamo arrivati alla fine di questa metafora assurda, posso baciarti? Non te lo chiederò una terza volta. »
Al suono di quelle parole, Keith sentì il peso che gli aveva gravato sul petto fino a quel momento, dissolversi per lasciare posto a un incredibile senso di leggerezza. Sollevò una mano, incerto su come completare il gesto, ma Lance la prese e se la posò su un fianco, ripetendo la stessa mossa con l’altra.
« Se pensavi che non mi fosse piaciuto, dobbiamo fare qualcosa per il tuo problema di lettura dell’atmosfera. » mormorò mentre gli avvolgeva le braccia attorno al collo.
Un attimo dopo si stavano baciando e Keith lo strinse a sé pensando che, se quello fosse stato un sogno, avrebbe preferito non svegliarsi mai più.
Hunk rientrò nell'appartamento quasi un'ora più tardi, convinto da Shiro, preoccupato per l'evolversi degli eventi. Lasciare quei due in balia di loro stessi, aveva detto, poteva averli aiutati a chiarirsi, ma anche essere pericoloso. Erano delle teste calde, abbandonarli in quel modo era stato da irresponsabili.
Hunk si guardò attorno, prudente, quasi temesse qualche brutta sorpresa.
Pidge si affacciò alle sue spalle.
« C'è troppo silenzio. » commentò. « Secondo me sono morti. »
« Non dire così! » piagnucolò Hunk. « Mi sentirei tremendamente i colpa! L'ho fatto per aiutarli, non perché si ammazzassero a vicenda. Non voglio finire in galera per istigazione all'omicidio. »
Shiro li superò entrambi e si fermò sulla porta della stanza di Lance.
« Sono ragionevolmente certo che Lance non si lascerebbe andare a una violenza così estrema. » commentò. « Non che mi senta di dire lo stesso di Keith... »
Hunk gli lanciò un'occhiataccia mentre allungava la mano per far scattare la serratura.
« Vi siete proprio trovati, voi due. Che razza di senso dell'umorismo... »
La stanza era silenziosa e tutti e tre vi si affacciarono cautamente. Nella penombra sembrava che nulla si muovesse.
Hunk fu sul punto di fare l'ennesimo commento preoccupato, ma una gomitata di Pidge lo zittì, quando la ragazza indicò il letto.
Lance e Keith vi erano sdraiati sopra, il primo appoggiato al cuscino, il secondo raggomitolato contro di lui, entrambi profondamente addormentati.
Keith aveva affondato il volto nella curva del collo di Lance, un braccio abbandonato di traverso sul suo petto. Lance, dal canto suo, lo teneva stretto per la vita e appoggiava la guancia sui suoi capelli come se fossero stati il più morbido dei cuscini. Avevano entrambi espressioni rilassate, senza la minima traccia delle tensioni che le avevano segnate in quei giorni.
« Lance non ha chiuso occhio, stanotte. » bisbigliò Hunk, mentre un sorriso intenerito si dipingeva sulle sue labbra.
« Neanche Keith. » fece eco Shiro, recuperando una coperta del fondo del letto e stendendola sui due, facendo attenzione a non svegliarli. « Per questo ora ce ne andremo in silenzio e non diremo una parola su tutto questo in futuro. »
Fece appena in tempo a intercettare il sorriso malandrino di Pidge e ad ammonirla con lo sguardo.
« Uffa. » brontolò lei, richiudendo la porta alle sue spalle. « Se mi private anche del gusto di prendere in giro Lance, a cosa è servita tutta questa storia? »
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: verde
Personaggi: Lance McClain, Keith Kogane, Hunk Garrett, Takashi "Shiro" Shirogane, Pidge Gunderson/Katie Holt
Pairings: pre-Keith/Lance
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Parte della Friends!AU.
Beta: Myst
Word count: 3999
« Me ne vado. »
« In che senso, te ne vai? Dove? Perché? »
« Lascio l'appartamento. Ho fatto un casino, non posso più restare qui. »
« Un casino? Cosa...? »
« Scusami, Shiro. Non cambierò idea. »
Quando Shiro era sceso al piano di sotto a casa dell'amico, per informarsi sulla situazione sentimentale travagliata che stava attraversando, non si sarebbe mai aspettato di trovarlo in quello stato.
Keith era completamente zuppo, con un livido sullo zigomo che stava diventando sempre più viola e delle macchie sulla camicia che suggerivano immagini cruente. Inoltre era seduto per terra, nella sua stanza, intento a infilare alla rinfusa in un borsone il caos di vestiti che aveva tolto dall'armadio.
Doveva essere successo qualcosa di grosso, che di certo aveva a che fare con Lance e con la sua nuova ragazza.
« Senti. » iniziò Shiro, tentando di mostrarsi il più ragionevole possibile. « Qualunque sia il problema, andarsene in questo modo non è una soluzione. Perché non ne parli con Lance? »
Keith lo guardò come se fosse impazzito.
« Parlare con Lance è l'ultima cosa al mondo che devo fare in questo momento. » affermò, ma la sua voce suonò piuttosto tremula. « Però hai ragione, non posso andarmene così, devo parlare con Allura. Il contratto d'affitto è intestato a me, devo chiederle di cambiarlo e intestarlo a Lance o Hunk. Mi ospiterai per qualche giorno? »
Un sospiro sfuggì dalle labbra di Shiro: avrebbe fatto di tutto per aiutare quello che considerava un fratello minore, ma non era scappando che avrebbe risolto i suoi problemi.
« Non mi renderò complice della tua fuga. »
Keith alzò le spalle.
« Lo immaginavo. Non importa, non sarebbe la prima volta che dormo dove capita. »
Chiuse la cerniera del borsone e se lo gettò su una spalla, alzandosi.
« Grazie lo stesso. Ti farò sapere il mio nuovo indirizzo appena possibile. »
« Keith… »
L’altro lo ignorò e si avviò verso l’ingresso.
« Allora ciao. »
Shiro si passò una mano tra i capelli, frustrato, allontanando il ciuffo candido dalla fronte.
Se si fosse trattato di chiunque altro, non avrebbe avuto problemi a pensare che stesse bluffando, ma Keith no, lo conosceva troppo bene e sapeva che stava dicendo sul serio. Avrebbe dormito dove capitava – in un parco, sotto un ponte, se era fortunato in qualche stazione – e avrebbe finito per mettersi nei guai. Come aveva detto, non sarebbe stata la prima volta.
« Aspetta, aspetta! »
Lo inseguì nell’ingresso e lo fermò afferrandolo per un braccio.
« Questa notte puoi stare da me, ma poi chiarirai con Lance, d’accordo? »
Keith non era il tipo da lasciarsi sopraffare dalle difficoltà della vita, aveva un carattere forte, che niente riusciva a piegare, Shiro stesso ne aveva avuta dimostrazione più volte. Eppure, era già la seconda occasione in pochi giorni in cui vedeva quell’espressione smarrita sul suo volto.
« Si può sapere cos’è successo? Mi sto preoccupando seriamente. Quello che hai sulla camicia è quello che penso che sia? »
Keith annuì mestamente.
« Ho picchiato Lance. »
« Oh, Keith… »
« E l’ho baciato. »
La sua voce s’incrinò di nuovo e una mano si sollevò in automatico a strofinare un occhio ancora asciutto.
« Gli ha fatto schifo. »
Ok, si disse Shiro, forse la situazione era peggiore di quanto pensasse.
Per quanto stentasse a credere a una reazione così dura da parte di Lance, aveva l'impressione che, qualunque cosa avesse detto in quel momento, Keith non l’avrebbe ascoltato, arroccato com’era nel suo dolore.
« Va bene, facciamo così. » disse, in tono conciliante. « Adesso sali da me, ti levi quella roba bagnata e ti fai una doccia prima di prenderti un raffreddore. Poi ordiniamo una pizza e decidiamo cosa fare, ok? »
Keith si avvicinò di un passo e appoggiò la testa sulla sua spalla.
« Ok… »
Continuava a piovere e, come se non bastasse, il sangue dal naso non aveva la minima intenzione di fermarsi. Dopo che Keith era corso via, Lance era rimasto imbambolato sotto la pensilina dell'autobus per qualche istante, con il cuore che batteva all'impazzata e indeciso sul da farsi. Da una parte, avrebbe voluto inseguirlo, chiedergli spiegazioni, ma, dall'altra, era perfettamente consapevole di non essere in grado di sostenere quella conversazione. Non in quel momento, almeno.
Per questo aveva tamponato il sangue alla meglio, con la manica della maglia, ed era tornato verso l'accademia. Lavare via quello scempio forse lo avrebbe aiutato anche a calmarsi e fare chiarezza.
Non badò agli sguardi allarmati delle persone che incrociò nell'atrio, mentre si dirigeva verso il più vicino dei bagni, ma non poté ignorare il richiamo di una voce conosciuta.
« Lance! Oh, mio Dio, ma che hai fatto? »
Hunk lo raggiunse di corsa, infilandosi in bagno assieme a lui, con espressione preoccupatissima.
« Hai avuto un incidente? Stai bene? Vuoi che chiami qualcuno? »
« No, no, Hunk! Calma! Sto bene! Sto bene, ok? Non è successo niente! » esclamò Lance chinandosi sul lavandino per sciacquarsi almeno la faccia.
« Non sembra che tu stia bene. Hai sgozzato qualcuno? »
Entrambi i ragazzi si voltarono stupiti all'indirizzo di chi aveva parlato.
« Pidge! Questo è il bagno degli uomini! » la rimproverò Hunk.
« E quindi? Non vi facevo così pudici. » ribatté lei, con una smorfia. « Piuttosto, Lance, non avrei mai pensato di dirlo, ma inizio a preoccuparmi. A giudicare dal livido che hai sulla guancia, più che incidente lo definirei scontro frontale e mi viene in mente solo un nome. »
Lance sospirò e si voltò lentamente a guardarla. Finalmente il sangue si era fermato ma, a giudicare dall'aspetto della sua maglia, sembrava davvero uscito dalla scena di un crimine. Ponderò per un attimo il da farsi, poi se la sfilò e la gettò nel lavandino. L'acqua si tinse subito di rosso.
Con la coda dell'occhio, vide Pidge dare una gomitata ad Hunk e l'amico annuire velocemente, come se si fosse appena reso conto di qualcosa.
« Ho una maglia di ricambio, vado subito a prendertela! » esclamò, sollecito. « Lo so che ti starà enorme, ma non puoi tornare a casa così. Prendo anche del ghiaccio, di certo in laboratorio ne avranno. »
Una volta che Hunk fu uscito, Pidge si appoggiò con apparente noncuranza ai lavandini.
« Keith, eh? »
Lance non si scomodò nemmeno a voltarsi, limitandosi ad annuire.
Dovevano averlo capito tutti e piano piano i pezzi stavano andando al loro posto anche nella sua testa, anche se ancora stentava a crederci.
« Ne sai qualcosa? »
« Solo che Shiro è mortalmente preoccupato per lui, non è sceso nei particolari. »
Lance picchiò un pugno sul ripiano, facendola sobbalzare.
« É assurdo! Totalmente assurdo! » esclamò, mentre la rabbia di poco prima tornava a salire. « Avevo una ragazza e stavo bene. Mi piaceva, le piacevo, quasi non potevo crederci. E adesso? Adesso lei mi ha lasciato, il responsabile mi ha picchiato senza motivo e poi mi ha baciato! Il mondo sta andando al contrario! »
Non si accorse della porta che si apriva e si chiudeva.
« Keith ti ha baciato?! » quasi urlò Hunk, sulla soglia con una maglia pulita e un sacchetto di ghiaccio tra le mani.
Pidge gli lanciò un'occhiata storta.
« Grazie, Hunk, ci serviva questa puntualizzazione. Lance, stai perdendo sangue di nuovo. Metti i polsi sotto l'acqua fredda. Ecco, da' qua, ci penso io. »
Lance la lasciò fare, appoggiandosi con la nuca alle piastrelle fresche mentre lei gli premeva un fazzoletto sul naso e il ghiaccio sullo zigomo.
Sì, il mondo andava al contrario, però, mentre se ne stava lì a occhi chiusi, poteva ancora sentire la sensazione delle labbra di Keith sulle sue, della sua bocca sulla pelle, delle sue mani sui fianchi. Affermare che fosse stato poco piacevole, sarebbe stata la peggiore delle bugie, così come dire che non l'aveva mai desiderato. Questo però non cambiava il fatto che Keith fosse fuori di sé e che, una volta realizzato quanto successo, ne fosse spaventato. Probabilmente non intendeva farlo, era stato un impulso e...
Scosse la testa, attirandosi i rimproveri di Pidge.
No, erano tutte stupidaggini. Non si bacia qualcuno per sbaglio, men che meno quando ci si sta prendendo a pugni.
Gli doveva una spiegazione.
Quella sera, però, Keith non rientrò e Lance scoprì che la sua camera era stata svuotata.
« Sono passate ventiquattro ore, dimmi perché non siamo ancora andati a denunciare la scomparsa?»
« Keith non è scomparso, Lance. Solo… non vuole farsi vedere, tutto qui. »
Era il pomeriggio del giorno successivo e Lance non riusciva più a stare con le mani in mano.
La sera prima, quando aveva trovato la stanza di Keith completamente vuota, era andato nel pallone e Hunk aveva impiegato quasi un’ora a convincerlo che di certo c’era una spiegazione logica, che non implicava che il loro coinquilino si fosse arruolato nella Legione Straniera. Poi aveva chiamato Pidge, per farsi dare l’indirizzo della biblioteca notturna dove Keith era andato a rifugiarsi in quei giorni, ma non l’aveva trovato nonostante avesse aspettato fino alla chiusura di mezzanotte. Quindi aveva telefonato a Shiro, sull’orlo di una crisi isterica. Tutto quello che ne aveva ricavato era stato il consiglio di tornare a casa e andare a dormire senza preoccuparsi.
Quindici ore dopo quella telefonata, non avevano ancora notizie.
« Shiro sa qualcosa! E non me lo vuole dire! »
Hunk trattenne a stento un gesto esasperato.
« È evidente che lo sappia, ma hai sentito Pidge. È preoccupato, si starà prendendo cura di Keith come può. »
« Questa cosa riguarda me! Perché nessuno me ne vuole parlare?! Ora vado di sopra e… »
Le mani di Hunk calarono pesantemente sulle sue spalle, costringendolo a sedersi sul divano.
« Questa sarebbe una pessima idea. Perché invece non stai qui e dai il tempo alle persone di chiarirsi le idee? Magari potresti farlo anche tu. Anzi, facciamo che ti preparo una camomilla così ti calmi. »
Lance era stanco di chi gli diceva di stare calmo. Non voleva stare calmo, voleva sapere dove accidenti si fosse cacciato Keith e perché l'avesse baciato. Il tutto possibilmente prima di avere un collasso nervoso.
Hunk aveva appena posato sul tavolo due tazze, quando sentirono la chiave girare nella serratura e Keith apparve sulla porta.
Non appena li vide, abbassò lo sguardo, assumendo l'espressione di chi avrebbe desiderato ardentemente di essere altrove.
« Ah... me ne vado subito, sono passato solo a lasciare... »
Accennò alle chiavi che teneva in mano, ma Lance balzò in piedi, interrompendolo.
« Si può sapere dove sei stato? » esclamò, avanzando a grandi passi verso di lui. « Ti ho chiamato un sacco di volte e avevi sempre il telefono spento! Sono venuto a cercarti in biblioteca! Ti ho aspettato tutta la notte! »
Keith si ritrasse istintivamente, ma Lance lo afferrò per un braccio: non intendeva lasciarlo scappare di nuovo, nonostante il pessimo risultato dell'ultima volta.
« Abbiamo trovato la tua senza vuota! Nessun avvertimento, nessuna telefonata, nessun biglietto! Che intenzioni avevi? Sparire senza dire niente a nessuno?! »
Keith tentò di divincolarsi.
« Avrei messo in regola l'affitto, prima. » borbottò.
Lance provò l'istinto di prenderlo a testate.
« COSA DIAVOLO VUOI CHE ME NE FREGHI DELL'AFFITTO?!? »
Keith gli rivolse uno sguardo di fuoco, fin troppo simile a quello infuriato che aveva sperimentato il giorno prima.
« Di che altro dovrebbe fregarti? »
« Come sarebbe? Ero preoccupato! É così difficile da capire? »
« Beh, non dovrai più farlo, dal momento che me ne vado. »
Lance emise un ringhio che non prometteva niente di buono e, con la mano libera, afferrò Keith per la stoffa della maglia.
« Starai scherzando! É totalmente ridicolo! »
« OK, BASTA! »
La voce di Hunk sovrastò quella di entrambi, mentre l'amico piombava in mezzo a loro e li separava a forza, tenendoli a distanza l'uno dall'altro.
« Sai cos'è ridicolo? Che cinque minuti fa ti stessi struggendo per la preoccupazione che Keith stesse bene e adesso tu lo voglia picchiare. »
Lance arrossì e, lì per lì, non riuscì a ribattere. Non ne avrebbe comunque avuto il tempo, perché Hunk si stava già rivolgendo a Keith.
« E tu! Tu sei un idiota fatto e finito se pensi davvero che le persone non si preoccupino per te! »
Dal momento che anche l'altro rimase a fissarlo basito, Hunk continuò imperterrito.
« Adesso ne ho davvero abbastanza! In questa casa non si vive più e così non si può andare avanti! Venite con me! Datevi una mossa e niente domande! »
Lance si lasciò guidare fino alla propria stanza, seguito da Keith che non azzardò nessuna protesta: Hunk non si arrabbiava mai, ma quelle rare volte che succedeva, faceva davvero paura.
Lo osservò procedere fino alla finestra, voltarsi e tornare sui propri passi. Si fermò sulla porta e si voltò a guardarli, fermi al centro della stanza.
« Vedete di trovare una soluzione. Questo è un ultimatum. » dichiarò.
Così dicendo uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Lo scatto della serratura suonò alle orecchie di Lance come una condanna definitiva.
« Hunk. Hunk... Hunk, ti prego... amico... fratello... non farmi questo. Soffro di claustrofobia. Hunk, per favore. Huuuuunk! »
L'unica risposta fu il rumore della porta di casa che si chiudeva.
Keith si lasciò scivolare contro l'anta dell'armadio fino a sedere per terra. Raccolse le gambe e appoggiò le braccia incrociate sulle ginocchia.
Era venuto solo perché Shiro aveva insistito, non aveva davvero intenzione di parlare approfonditamente con Lance. Se fosse dipeso da lui, avrebbe lasciato le chiavi, per poi non farsi vedere mai più. Invece si era realizzata la peggiore delle ipotesi.
Appoggiò la fronte sulle braccia e si rannicchiò su sé stesso: non era pronto a tutto questo, aveva bisogno di tempo per lasciarsi tutto alle spalle e guardare ai fatti con razionalità.
Sentì Lance lasciarsi cadere sul letto, dall'altro lato della stanza, ed emettere un lamento prolungato.
Lo sbirciò di sottecchi e sospirò.
« Ehi... soffri davvero di claustrofobia? »
Lance si alzò a sedere, agitando nervosamente una mano.
« Ah... beh... basta che non ci pensi troppo. Da piccolo, mia sorella mi chiudeva nell'armadio se la facevo arrabbiare e da allora i luoghi chiusi non mi fanno impazzire, ecco. E tu? »
Keith non si era aspettato di vedersi rigirare la domanda, quindi non ebbe il tempo di pensare a una risposta diversa dalla più semplice verità.
« Se anche ne avessi sofferto, avrei dovuto farmela passare dopo che, all'orfanotrofio, hanno iniziato a chiudermi nello sgabuzzino delle scope per dispetto. »
Keith non aveva mai trovato imbarazzante o disagevole parlare della propria infanzia a chi glielo chiedeva. Era abbastanza riservato da non raccontare spontaneamente i fatti propri, ma non si era mai fatto problemi a rispondere alle domande che gli venivano fatte. Aveva notato che, spesso, i suoi interlocutori erano a disagio quando nominava l'orfanotrofio o il fatto di non avere una famiglia, ma Keith non si era mai considerato uno di quei bambini di cui avere pietà. Semplicemente, le cose stavano così e farne un dramma non aveva senso.
Lance gli era sempre sembrato una delle rare persone che avevano compreso in fretta il suo punto di vista.
« Capisco. Come hai fatto a farli smettere? » fu infatti il suo unico commento in proposito.
« Ho iniziato a picchiarli. »
« Chiaro. »
Lance tornò a stendersi, Keith ad affondare la testa tra le braccia.
Nel giro di pochi minuti il silenzio e la sensazione di tensione si fecero insostenibili. Per tentare di sopportarli, si mise addirittura a compilare un elenco mentale degli argomenti di conversazione che avrebbe potuto introdurre.
- Vuoi che apra la finestra?
- Cosa ne pensi del prossimo esame di elettrotecnica?
- Come sta il tuo naso?
Anzi, no, quello non poteva chiederlo, si avvicinava troppo all'argomento tabù. Non c'era da stupirsi che Keith non fosse un gran conversatore, era così complicato! Però, almeno, l'istinto di alzare le mani se n'era andato. Forse non parlare affatto era la soluzione a quella situazione assurda.
« Senti. »
La voce di Lance spezzò il silenzio, strappandolo ai suoi ragionamenti.
Keith alzò la testa e lo guardò: aveva un'espressione seria, ma sembrava meno nervoso di prima.
« Non è che verresti un po' più vicino? » disse, aggiungendo poi velocemente: « Ah, non che sia spaventato o simili, per la storia della claustrofobia intendo. Solo che è sciocco che tu te ne stia lì per terra quando puoi sederti qui. Non ti aggredirò, promesso. »
Keith valutò l'idea per qualche istante, poi si alzò e lo raggiunse, sedendosi nell'angolo più lontano del letto.
Sembrava che non ci fosse modo di sfuggire a quel confronto, quindi tanto valeva affrontarlo. Dopotutto aveva già deciso di andarsene, quindi non aveva nulla da perdere.
« Se lo facessi, non avrei da ridire. Ti devo un naso sano e... altro. »
Lance scosse la testa, abbozzando un sorrisetto.
« Il mio naso sta bene, mi sono accorto subito che quella gomitata è stata un incidente. Questo però non ti giustifica per avermi fatto sembrare un killer agli occhi di mezza accademia. »
L'immagine di Lance che attraversava l'atrio della Garrison con la maglia sporca di sangue e attirava gli sguardi allarmati di tutti, strappò un sorriso anche a Keith.
« Già, mi dispiace. Mi dispiace per tutto quello che è successo, avevi ragione, sono stato un incivile. Parlerò con Nyma, le dirò che è stata tutta colpa mia e che non vi darò più fastidio. Vedrai che ti perdonerà e potrete... »
« Keith! »
La presa improvvisa sul suo polso e l'esclamazione di Lance lo fecero sussultare: non si era reso conto che si fosse avvicinato.
« Non devi fare niente, vorrei solo una risposta. Ho bisogno di saperlo. Perché mi hai baciato? »
Nonostante si fosse rassegnato a parlarne, Keith sentì ugualmente un brivido gelido corrergli lungo la schiena, mentre quegli occhi blu si fissavano nei suoi. Istintivamente, si sottrasse alla presa e balzò in piedi.
Faceva così dannatamente male che non riusciva nemmeno a guardarlo.
« Ascolta. » iniziò, chiudendo le mani a pugno nella speranza che lo facessero sembrare meno agitato. « Mi dispiace, davvero. Non dovevo farlo. Sono stato un cretino, non so cosa mi sia passato per la testa. Lo so che ti ha fatto schifo e lo capisco, sul serio. »
« Ma Keith... »
« Non hai bisogno di giustificarti, è comprensibile che tu sia a disagio. Ma quando me ne sarò andato potrai dimenticare quello che è successo. »
« Keith, io non voglio che tu te ne vada. »
« Ma non vuoi nemmeno che mi avvicini a te perché ti faccio ribrezzo, non è così? »
Lance strabuzzò gli occhi.
« Cosa?! Pensi davvero che fossi disgustato? Sei serio? Oh, cielo! »
Si portò una mano alla fronte, massaggiandosela per un istante, poi tornò a guardarlo.
« Comunque non hai risposto alla mia domanda. »
Keith iniziò a muovere alcuni passi nervosi per la stanza, impossibilitato a rimanere fermo.
« Non era chiaro? » borbottò.
« No, non lo era. Perché se lo fosse stato non mi sarei imposto di farmene una ragione e guardare altrove. Non lo era affatto e tuttora mi sembra fantascienza. »
Quella risposta portò Keith a bloccarsi e a voltarsi di scatto, incredulo.
Lance si alzò e lo raggiunse in mezzo alla stanza. Poteva vedere i suoi occhi cercare i propri in una muta richiesta di conferme. Conferme che Keith non aveva cuore di dargli.
« A differenza di te sono un gentiluomo, quindi te lo chiederò. » mormorò Lance avvicinandosi di più. « Posso baciarti? »
Keith sgranò gli occhi, incredulo di fronte a quella richiesta inaspettata. Il cuore gli batteva a mille, scalpitava come un cavallo impazzito, eppure, un istante dopo, una fredda consapevolezza scese su di lui.
Piano, con lo sguardo velato da un dolore rassegnato, scosse la testa.
« Lance, a te… »
S’interruppe un istante in cerca delle parole, poi continuò con un sospiro.
« A te piacciono le bionde, l’hai sempre detto. E io, beh, io non sono una bionda, mi sembra ovvio.»
Non era certo che l’altro avesse colto il senso del discorso, ma si sentiva già abbastanza male a farlo in quella forma.
Tuttavia Lance lo stupì per l’ennesima volta e gli sorrise.
« Forse non te ne sei mai reso conto ma non mi piacciono solo le bionde. » disse. « Apprezzo molto anche i mori e posso dire di essere totalmente soddisfatto del mio colore di capelli visto che a te le bionde non piacciono affatto. Adesso che siamo arrivati alla fine di questa metafora assurda, posso baciarti? Non te lo chiederò una terza volta. »
Al suono di quelle parole, Keith sentì il peso che gli aveva gravato sul petto fino a quel momento, dissolversi per lasciare posto a un incredibile senso di leggerezza. Sollevò una mano, incerto su come completare il gesto, ma Lance la prese e se la posò su un fianco, ripetendo la stessa mossa con l’altra.
« Se pensavi che non mi fosse piaciuto, dobbiamo fare qualcosa per il tuo problema di lettura dell’atmosfera. » mormorò mentre gli avvolgeva le braccia attorno al collo.
Un attimo dopo si stavano baciando e Keith lo strinse a sé pensando che, se quello fosse stato un sogno, avrebbe preferito non svegliarsi mai più.
Hunk rientrò nell'appartamento quasi un'ora più tardi, convinto da Shiro, preoccupato per l'evolversi degli eventi. Lasciare quei due in balia di loro stessi, aveva detto, poteva averli aiutati a chiarirsi, ma anche essere pericoloso. Erano delle teste calde, abbandonarli in quel modo era stato da irresponsabili.
Hunk si guardò attorno, prudente, quasi temesse qualche brutta sorpresa.
Pidge si affacciò alle sue spalle.
« C'è troppo silenzio. » commentò. « Secondo me sono morti. »
« Non dire così! » piagnucolò Hunk. « Mi sentirei tremendamente i colpa! L'ho fatto per aiutarli, non perché si ammazzassero a vicenda. Non voglio finire in galera per istigazione all'omicidio. »
Shiro li superò entrambi e si fermò sulla porta della stanza di Lance.
« Sono ragionevolmente certo che Lance non si lascerebbe andare a una violenza così estrema. » commentò. « Non che mi senta di dire lo stesso di Keith... »
Hunk gli lanciò un'occhiataccia mentre allungava la mano per far scattare la serratura.
« Vi siete proprio trovati, voi due. Che razza di senso dell'umorismo... »
La stanza era silenziosa e tutti e tre vi si affacciarono cautamente. Nella penombra sembrava che nulla si muovesse.
Hunk fu sul punto di fare l'ennesimo commento preoccupato, ma una gomitata di Pidge lo zittì, quando la ragazza indicò il letto.
Lance e Keith vi erano sdraiati sopra, il primo appoggiato al cuscino, il secondo raggomitolato contro di lui, entrambi profondamente addormentati.
Keith aveva affondato il volto nella curva del collo di Lance, un braccio abbandonato di traverso sul suo petto. Lance, dal canto suo, lo teneva stretto per la vita e appoggiava la guancia sui suoi capelli come se fossero stati il più morbido dei cuscini. Avevano entrambi espressioni rilassate, senza la minima traccia delle tensioni che le avevano segnate in quei giorni.
« Lance non ha chiuso occhio, stanotte. » bisbigliò Hunk, mentre un sorriso intenerito si dipingeva sulle sue labbra.
« Neanche Keith. » fece eco Shiro, recuperando una coperta del fondo del letto e stendendola sui due, facendo attenzione a non svegliarli. « Per questo ora ce ne andremo in silenzio e non diremo una parola su tutto questo in futuro. »
Fece appena in tempo a intercettare il sorriso malandrino di Pidge e ad ammonirla con lo sguardo.
« Uffa. » brontolò lei, richiudendo la porta alle sue spalle. « Se mi private anche del gusto di prendere in giro Lance, a cosa è servita tutta questa storia? »