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Titolo: A Lance piacciono le bionde (pt. 1)
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: verde
Personaggi: Lance McClain, Keith Kogane, Hunk Garrett, Takashi "Shiro" Shirogane, Pidge Gunderson/Katie Holt, Nyma
Pairings: pre-Keith/Lance
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Parte della Friends!AU.
Beta: Myst
Word count:
6633

Era una mattina come tutte le altre.
Hunk si era alzato di buon'ora, nonostante quel giorno non avesse lezione presto, per potersi prendere il tempo necessario a preparare i pancake e gustarsi un cappuccino come si deve. Se ne stava seduto al tavolo, con la tazza fumante davanti e il cellulare in mano, intento ad inviare a Shay il messaggio del buongiorno. Sembrava che sarebbe stata una bella giornata: il sole splendeva e gli uccellini cinguettavano sull'albero di fronte alla finestra.
O almeno immaginava che sarebbe stato così, se fosse riuscito a sentirli al di sopra degli urli che provenivano dal bagno.
« Lance! Se non esci entro cinque minuti! Cinque! Minuti! Giuro che entro io! »
« Falla finita, Kogane! Almeno quando faccio la doccia, lasciami vivere! »
« Vallo a dire a Iverson di lasciarti vivere, quando hai le simulazioni alle otto del mattino! »
« Non sono stato così stupido da scegliere quel cors... AAAAAAAAAAAAHHHHHHH!!!!! Che stai facendo?! Non sono passati neanche cinque secondi! Dannazione, Keith!!! »
« Non strillare in quel modo! E fatti più in là! Finirai per farmi fare tardi! »
Hunk sorseggiò il proprio cappuccino e sospirò rassegnato.
Se fosse stata la prima volta, avrebbe potuto essere anche divertente, il punto era che quella situazione si trascinava invariata da mesi.
All’inizio lui e Pidge ci avevano scherzato su, arrivando addirittura a pensare di tenere una sorta di videocronaca sugli approcci “totalmente disinteressati” di quei due, ma con l’andare del tempo la situazione si era fatta paradossale e quella dell’intrusione nella doccia non era che l’ultima di una serie di scene a cui si era trovato, suo malgrado, ad assistere. Quella più eclatante, a suo avviso, era stata quando, una sera, di rientro da una sessione di studio che si era protratta fino a tardi, aveva trovato entrambi i coinquilini addormentati sul letto di Lance. Non vi avrebbe trovato niente di strano, se non che il libro su cui presumibilmente stavano studiando era uno solo – ed era finito sul pavimento –  e un braccio di Lance era avvolto attorno alla vita di Keith.
La mattina seguente, le risposte alla sua richiesta di spiegazioni erano state: « Questo idiota ha dimenticato il manuale in accademia. » e « Questo scemo si addormenta ovunque. »
Era stato a quel punto che Hunk si era reso conto che avevano un problema.

Keith aveva iniziato ad accorgersi che qualcosa non andava, dopo il pranzo con la madre di Pidge, durante il quale Lance aveva finto di essere il fidanzato della ragazza. Per tutto il tempo aveva avuto addosso una sensazione orribile, come un nodo allo stomaco: gli aveva impedito di gustarsi il pasto e aveva reso ogni sua reazione più simile a uno scatto di nervi che a un atteggiamento civile.
Sulle prime aveva pensato che fosse da imputare all'ingiustizia che vedeva compiere nei confronti di Shiro. L’amico era la persona più importante per lui ed era normale che vederlo bistrattato in quel modo lo irritasse. Quando però aveva visto Lance baciare Pidge – uno sciocco bacio sulla guancia, in verità – non aveva capito più niente ed era corso via come se avesse avuto il diavolo alle calcagna.
A mente fredda, questo lo aveva portato a riflettere. Una volta che tutto si era concluso per il meglio, quell'irritazione avrebbe dovuto sparire, invece era ancora lì. Peggio, si era trasformato in un senso di oppressione, qualcosa che premeva perché realizzasse che i suoi sentimenti non erano così banali e lineari come aveva sempre sostenuto.
Ci aveva ragionato per giorni, arrivando a perdere anche ore di sonno, ci aveva impiegato davvero parecchio a venire a capo della questione. Ormai era talmente abituato a quello stato di cose che, anche quando qualcuno di esterno glielo aveva fatto notare, non ci aveva fatto particolarmente caso. O meglio, aveva continuato a pensare che lo stessero prendendo in giro.
Alla fine però aveva capito: la verità era una sola e non era uno scherzo.
Era innamorato di Lance.
Probabilmente lo era sempre stato, o non si sarebbe comportato come aveva fatto. A nessuno aveva mai permesso di avvicinarsi tanto a lui e, ora che l’aveva capito, le cose diventavano più complicate. Anche riflettendoci, le scelte possibili erano solo due: tenere i propri sentimenti per sé o comunicarli al diretto interessato. Entrambe le possibilità potevano avere risvolti sia positivi che negativi, ma Keith non era una mente matematica e non aveva intenzione di mettersi a fare statistiche. Era una persona decisa, che difficilmente sapeva stare con le mani in mano. Lance gli diceva sempre che agiva prima di preoccuparsi delle conseguenze e, forse, poteva essere un pregio.
Prima che sorgessero paranoie, prima che i dubbi lo assalissero, gli avrebbe parlato e gli avrebbe detto quello che provava. Quel giorno stesso, appena fosse rientrato.
Stando a quello che gli amici ripetevano in continuazione, Lance provava le stesse cose, non c’era nulla che suggerisse il contrario e aveva finito per convincersene anche lui.
A casa da solo, la giornata sembrava non passare mai e Keith non riusciva a stare fermo: aveva perso il conto delle volte che aveva fatto avanti e indietro dalla camera alla cucina, senza riuscire a concentrarsi minimamente su quello che avrebbe dovuto studiare. Il manuale di fluidodinamica, aperto e chiuso decine di volte, sembrava farsi beffe della sua disattenzione. Le ombre si allungavano, la luce si ammorbidiva di riflessi rosati, ma Lance ancora non si vedeva.
Chissà cosa stava combinando? Non era da lui tardare così tanto. Proprio quel giorno, poi? E se fosse dovuto andare al locale, più tardi? Keith aveva bisogno di un po’ di tempo per spiegarsi, non poteva pensare di fare tutto di corsa.
Soffermandosi con lo sguardo sul cielo sempre più scuro, si prese un attimo per immaginare come sarebbe stato avere finalmente accanto qualcuno che lo amava per quello che era.
L’ora di cena era passata da un pezzo quando sentì armeggiare con la serratura. Hunk aveva scritto che si sarebbe fermato da Shay, quindi poteva essere solo Lance. Eppure dall’ingresso sentì provenire una voce chiaramente femminile.
« Non metterci troppo, Lancey, ok? »
Keith non la riconobbe e si affacciò alla porta della propria stanza, proprio nel momento in cui Lance si sporgeva verso una ragazza bionda per baciarla sulle labbra.
« Farò in un attimo, piccola. »
« Ti aspetto di sotto. »
La ragazza uscì dall’appartamento e Keith chiuse si scatto la porta della propria stanza, appoggiandovisi contro.
Sentiva male ovunque.
All’improvviso desiderava che Lance non fosse mai rientrato. Per quale motivo l’aveva aspettato finora? Non aveva avuto senso.
Il cuore gli batteva all’impazzata e aveva il respiro corto, come dopo una lunga corsa. Eppure si era mosso solo di pochi passi.
Faceva male, tremendamente male. Ed era così umiliante. Cosa gli era passato per la testa? Doveva essere impazzito. Come aveva anche solo potuto pensare che Lance provasse per lui…
« Keith! Ci sei? »
Un ritmico bussare alla porta, a cui era ancora appoggiato, lo fece allontanare istintivamente da essa.
« Amico? »
Lance abbassò la maniglia e si affacciò nella stanza semibuia.
« Senti, scusa se non ho chiamato. Ho trovato Nyma alla caffetteria dell’accademia. Te la ricordi, vero? É l’amica di Rolo, quello del corso di biologia. Una cosa tira l’altra e siamo usciti a cena. Adesso andiamo… Keith? Amico, che succede? »
Il cambio di tono di Lance gli fece capire che aveva notato qualcosa che non andava. Keith stesso se ne rese conto solo in quel momento: sentiva gli occhi bruciare e le ciglia bagnate.
« Stai bene? »
Lance mosse un passo nella stanza ma Keith scattò indietro, allontanandosi dalla porta e da lui.
« Sì. Sì, non è niente. » rispose precipitosamente, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano. «Tornando a casa, ehm… l’autobus aveva i finestrini abbassati e, sai… soffro di allergia ai pollini. In primavera è un disastro. »
Era la prima, patetica scusa che gli era venuta in mente. Sperava solo che Lance non facesse domande, che se ne andasse, che sparisse dalla sua vista e si portasse dietro l’immagine di quella bellezza bionda nell’ingresso. Il solo pensarli insieme gli provocava una stretta allo stomaco tale da fargli venire la nausea.
« Vuoi che vada a cercare una farmacia di turno? »
Il tono ora sembrava preoccupato. Ah, ma perché non se ne andava? Non era da lui essere premuroso.
« Non ce n’è bisogno, domani comprerò un collirio antistaminico in quella vicino all’accademia. »
« Sei sicuro di stare bene? Non mi sembri a posto…»
« Lance! Nyma ti sta aspettando, no? Vai! »
« Ok, ma se hai bisogno di qualcosa, chiama, va bene? »
« Lance. »
« Cosa? »
« Vattene, maledizione! »
Così dicendo lo spinse fuori dalla stanza, chiudendogli la porta in faccia e azzardandosi a respirare solo dopo aver dato un giro di chiave. Un sospiro debole e tremulo.
« Che razza di modi, volevo solo essere gentile! » sentì borbottare il coinquilino in corridoio. «Buona serata a te, eh! »
Quando udì chiudersi la porta d’ingresso, crollò sul letto. Andava male, molto male: il nodo che sentiva in fondo alla gola glielo rendeva fin troppo chiaro.
Sprofondò la testa nel cuscino.
Dannazione.
Dannazione a Lance.
Dannazione a Nyma.
Dannazione a sé stesso e al suo pessimo tempismo.
Ricordava quella ragazza: era stata il chiodo fisso di Lance, l'inverno precedente. Non passava giorno senza che ne cantasse le lodi: era incantato dalla chioma dorata che le scendeva in morbide onde sulle spalle e l'aveva descritta come la creatura più bella che avesse mai visto. All'epoca non aveva capito il motivo del suo fastidio, ora la consapevolezza era più dolorosa che mai e gli ricordava quanto stupido fosse stato a farsi tanti castelli in aria.
Stupido anche il campanello, pensò quando lo sentì suonare ripetutamente. Non aveva la minima intenzione di affrontare il coinquilino e la sua fiamma sotto le luci chiare del pianerottolo, ma non poteva nemmeno permettergli di svegliare tutto il palazzo. Per questo Keith si trascinò nell’ingresso e sbloccò la serratura con un movimento nervoso.
« Si può sapere che diavolo vuoi, ancora?! Non hai le chiavi? » sbottò, prima di rendersi conto che quello che aveva di fronte non era Lance.
Shiro gli sorrise con espressione incerta.
« Ehm, no, non ho mai avuto le chiavi di casa tua. » tentò di sdrammatizzare. « Ho appena rinnovato l’abbonamento a Netflix e mi chiedevo se non potessimo vederci qualcosa tutti insieme, stasera. É un brutto momento? »
Keith sentì chiaramente su di sé lo sguardo indagatore dell’amico e percepì, più ancora che vederle, le sue sopracciglia incurvarsi.
« Keith? Che succede? »
Doveva avere ancora gli occhi arrossati, non vi aveva badato.
« Allergia! » sbottò seccamente, distogliendo lo sguardo. « Ai pollini! »
« Ti conosco da una vita e non sei mai stato allergico ai pollini. Che storia è questa? »
Aveva dimenticato quanto fosse complicato mentire a Shiro e il suo stato emotivo non era affatto d’aiuto.
« Cos’è successo, Keith? » insisté Shiro, il tono sempre più preoccupato. « Stai male? »
Scuotere la testa non fu la reazione migliore, perché Shiro entrò nell’appartamento e si chiuse la porta alle spalle. Gli posò le mani sulle spalle e lo costrinse a guardarlo.
« Dimmi cos’è successo. »
Questa volta il tono era più perentorio e Keith avrebbe voluto buttarlo fuori, chiudersi in camera e fare finta che tutto quello non fosse mai successo. Magari anche piangere, se proprio il suo corpo lo riteneva necessario, ma senza testimoni.
« Lance ha una ragazza! » si ritrovò invece quasi a gridare in faccia a Shiro. « Ha una ragazza! Bionda! E l’ha baciata qui, nell’ingresso! »
Afferrò tra le mani la stoffa della camicia dell’amico e la strattonò bruscamente.
« A Lance piacciono le bionde! L’ha sempre detto, come ho potuto dimenticarmelo? Io non lo sono! Non lo sono! Perché avete tentato di convincermi del contrario?! E’ tutta colpa vostra!»
Aveva continuato a urlare, mentre la sua voce saliva sempre più di tono di fronte a un allibito Shiro, finché non si era sentito abbracciare.
« Calmati. » gli sussurrò l’amico all’orecchio. « Ssshhh… Ti va di spiegarmi per bene com’è andata? »
Keith scosse la testa, sentendo la stoffa della camicia di Shiro inumidirsi sotto la sua guancia.
« No? Ok. Non mi vuoi dire nemmeno perché mi stai inzuppando la camicia? »
Shiro aveva un tono di voce così gentile e preoccupato che sarebbe stato impossibile non rispondergli.
« Lo odio. » mormorò Keith con voce spezzata.
« Davvero? »
Di nuovo si ritrovò a scuotere la testa contro a sua spalla.
« Lo amo, maledizione. »

C’era voluto del bello e del buono per convincere Keith a non chiudersi in camera dopo quell’ammissione. Shiro aveva tentato di farlo parlare ancora un po’, ma era riuscito a ricavare assai poco, tra varie imprecazioni e qualche lacrima di rabbia, se non che la ragazza in questione si chiamasse Nyma e frequentasse il corso di biologia con un amico comune. Keith sembrava aver stabilito che il suo più grande crimine fosse di essere bionda, un particolare che pareva urtare fin troppo i suoi nervi. A parte questo, Shiro non era riuscito a strappargli una parola di più e alla fine aveva desistito. Si era accasciato sul divano, considerando un traguardo anche solo il fatto che Keith si fosse seduto accanto a lui invece di scappare a rintanarsi da qualche parte, e l’aveva lasciato sfogare. Alla fine era crollato con la testa sulla sua spalla e si era addormentato. Era stato a quel punto che, tentando di non fare movimenti bruschi, Shiro aveva recuperato il cellulare dalla tasca e chiamato Pidge.
« Scusami se ci sto mettendo tanto, qui c’è qualche problema. » spiegò stando volutamente sul vago. « No, niente di grave, diciamo che Keith aveva bisogno di una spalla… No, Lance non c’è, se ci fosse stato forse non saremmo a questo punto. É una storia lunga, te la racconterò domani. Non preoccuparti, tu e Matt potete tranquillamente stare lì e guardare quello che volete. Ah, Pidge! Non svuotatemi il frigo. »
La sua ragazza emise un versetto esasperato e Shiro riattaccò sorridendo.

Erano le quattro del mattino, quando Shiro venne svegliato dal rumore della chiave nella serratura. Aprì gli occhi e spostò lo sguardo dal bracciolo del divano all’ingresso dell’appartamento. Keith stava ancora dormendo ed era scivolato fino ad appoggiare la testa sulle sue gambe, rannicchiandoglisi addosso.
Lance posò le chiavi sul tavolo e lanciò loro un’occhiata stranita.
« Serata Netflix? » chiese con un sorrisetto. « Credevo che il nostro abbonamento fosse scaduto. »
Shiro scosse appena la testa.
« Non è un po’ tardi? » chiese invece. « Che mi dici di questa Nyma? »
Lance si bloccò nel movimento di aprire il frigorifero e si voltò verso di lui con aria stupita.
« Shiro? Davvero? Sono maggiorenne da un po’ e non è la mia prima ragazza. »
« É davvero così bionda? »
« Che? É  bionda, sì, qual è il problema? »
Shiro sospirò e indicò Keith addormentato.
« Credo di averne una matassa che mi dorme addosso. Fammi un favore, parlatene. Poi fai quello che ti pare, ma parlatene. »
Lance sembrava sempre più a disagio, sulle spine. Si versò un bicchiere d’acqua ma continuò a rigirarselo tra le mani invece di bere.
« Senti, io non… » iniziò, poi sembrò cambiare idea. « L’allergia ai pollini? Va un po’ meglio? »
Shiro sperò che l’occhiata che gli rivolse fosse sufficientemente significativa.
« Keith non soffre di nessuna allergia ai pollini. »
Il bicchiere d’acqua tra le mani di Lance vibrò visibilmente, rischiando di rovesciare il suo contenuto.
« Quell’idiota! » ringhiò il giovane prima di girare sui tacchi e chiudersi la porta della propria stanza alle spalle.

Il mattino successivo, entrando in bagno e guardandosi allo specchio, Lance ebbe la netta sensazione di avere di fronte uno zombie. Quelle poche ore che aveva trascorso a letto, erano state completamente insonni, tormentate dal nervosismo e dall'ansia.
Perché, si chiedeva, perché non poteva semplicemente essere felice della bella serata trascorsa? Nyma era stata deliziosa, il locale assolutamente perfetto e si era divertito un sacco. Perché il pensiero di Keith che lo fissava con gli occhi arrossati non voleva saperne di andarsene dalla sua testa?
La sera prima non aveva chiesto altro e Shiro non gli aveva spiegato nulla, eppure quelle poche parole erano un tarlo che gli aveva impedito di chiudere occhio.
Quello che era successo era totalmente privo di senso: Keith gli aveva mentito, nascondendogli qualcosa che lo turbava e Shiro sembrava ritenerlo responsabile. Più ci pensava e più s’innervosiva. Era convinto di essere diventato abbastanza importante nella vita di Keith perché si confidasse con lui o, almeno, che gli facesse presente se era parte del problema, ma evidentemente non era così. Preferiva parlare con Shiro e rifilare a lui delle balle assurde.
La sensazione di essere stato volutamente escluso da qualcosa d’importante lo feriva e lo faceva sentire inutile: avrebbe voluto essere d’aiuto a Keith, stargli vicino, ma a quanto sembrava lui non la pensava allo stesso modo.
Quando uscì dal bagno la casa era silenziosa. Hunk non era ancora rientrato e di Keith nessuna traccia. Doveva essere uscito prima ancora che Lance si svegliasse.
Mentre aspettava che il caffè fosse pronto, lanciò un’occhiata alla tabella degli orari delle lezioni, appesa sulla credenza: Keith aveva solo un corso nel pomeriggio, non avrebbe avuto motivo di uscire a quell’ora. Questo non faceva che confermare i suoi timori: lo stava evitando.
Più tardi, in accademia, Lance ebbe modo di incontrare Hunk e chiedere notizie dell’amico.
« No, non ho visto Keith. » fu la risposta. « Perché? Cosa gli hai fatto? »
« Non gli ho fatto niente! » protestò Lance in tono indignato, mentre varcavano la soglia della caffetteria. « Ehi, perché dev’essere colpa mia? »
« Perché, statisticamente parlando, se Keith ha un problema, al 90% ci sei di mezzo tu. I dati parlano chiaro. »
Lance lo fissò stralunato, mentre si mettevano in fila per ordinare al bancone.
« Di quali dati stai parlando? »
« Di quelli ricavati dalle mie osservazioni quotidiane, ovviamente. Dai, spara, che è successo? »
Lance si prese il tempo di ordinare un caffè e un panino prima di raccontare gli eventi della sera prima, soffermandosi sul comportamento insensato di Keith e su quello incomprensibile di Shiro.
Hunk lo ascoltò in silenzio, sorseggiando la sua aranciata, e solo al termine parlò.
« Lo sapevo. » fu il commento, accompagnato da un sospiro rassegnato. « Era solo questione di tempo. »
« Questione di tempo per cosa? » lo interrogò Lance, che iniziava ad averne abbastanza di gente che parlava per enigmi.
Hunk sospirò di nuovo.
« Perché ti trovassi una ragazza, immagino. Nyma ti piaceva da un sacco, è bello che si sia accorta di te. »
A giudicare dalla sua espressione, Lance pensò che, piuttosto che bello, sembrasse uno schifo assoluto. Insomma, finalmente usciva con qualcuno che ricambiava il suo interesse e il suo migliore amico si dimostrava entusiasta quanto l'ospite d'onore di un funerale. Fantastico.
« Si può sapere qual è il problema? Shiro mi ha fatto la paternale neanche fossi un ragazzino delle medie, tu mi guardi con quella faccia. Nyma non è una spacciatrice o un'assassina, è una ragazza normale, non credo mi ucciderà nel sonno! »
Hunk accennò un sorriso e terminò la propria aranciata.
« Hai ragione, probabilmente ci stiamo tutti preoccupando troppo. Nyma è davvero una bella ragazza, al punto che verrebbe da chiedersi perché, tra tutti gli studenti talentuosi, atletici e promettenti, abbia scelto proprio te.»
Gli strizzò l'occhio, prendendolo chiaramente in giro.
« Ma se tu stai bene, allora è tutto a posto. Vedrai che anche Keith se ne farà una ragione. »
Lance lo scrutò, imbronciato.
« Grazie, Hunk, la mia autostima ti vuole bene. Fammi capire: Keith teme che Nyma stia con me per qualche secondo fine? É questo il problema? »
« Mah... chi può dirlo? » fu la replica, accompagnata da un'alzata di spalle e da un risolino imbarazzato.
« Va bene, ho capito, non c'è modo di avere una risposta sensata. Comunque ho invitato Nyma a bere qualcosa da noi, stasera. Cercate, vi prego, di comportarvi come esseri umani. »
Forse quell'invito era un po' prematuro, in fondo erano usciti solo la sera prima, ma erano stati bene. Si sarebbe trattato solo di un dopocena tranquillo, una serata tra amici. Lance non aveva pianificato niente d'impegnativo e sperava che i suoi coinquilini non apparissero dei pazzi scatenati agli occhi della ragazza che gli piaceva.
Forse quella sarebbe stata la volta buona che riusciva a impegnarsi in una storia con qualcuno che lo riteneva altrettanto importante.

« Verrà qui?! »
Keith si rese conto di aver alzato troppo la voce quando vide Lance sobbalzare.
Era appena rientrato, scoprendo che i coinquilini avevano finito di cenare, Hunk stava lavando i piatti e Lance lo aveva informato dell’imminente arrivo della sua ragazza.
Sapeva di doversi dare un contegno, ma il nodo che gli stringeva lo stomaco era più difficile da gestire ogni minuto che passava.
« Sì, e allora? Berremo qualcosa e faremo due chiacchiere. Niente di strano. »
« È anche casa mia, avresti dovuto avvertirmi. »
Lance lo squadrò con aria di sufficienza.
« L'avrei fatto se Emo-Kitty ci avesse degnato della sua presenza, invece di eclissarsi per tutto il giorno! »
« Io non… »
In realtà Keith non poteva ribattere perché le cose erano andate esattamente così: aveva accuratamente evitato ogni luogo in cui avrebbe potuto trovare Lance, dalla caffetteria alle aule delle lezioni. Non sarebbe nemmeno tornato a casa, se ne avesse avuta la possibilità, ma Shiro era al lavoro e Pidge e Matt avrebbero fatto troppe domande. Altri posti dove stare, non ne aveva.
« Ok, allora io… me ne starò in camera a studiare, ecco. Così non vi disturberò. »
Non era la migliore delle soluzioni, ma al solo pensiero di vedere quella ragazza vicino a Lance sentiva tornare il dolore al petto. Non l'avrebbe sopportato, era troppo presto, aveva bisogno di tempo.
Lance però non sembrava dello stesso avviso.
« Oh, insomma! Vuoi smetterla di fare l’asociale, una buona volta? » esclamò, seccato.
Hunk tossicchiò, come faceva sempre quando intendeva avvertire qualcuno di non esagerare, ma Lance sembrò non cogliere.
« Potresti stare qui, invece, e comportarti come una persona normale. Sarebbe una piacevole novità. Almeno capiresti che Nyma non è un’assassina, come sembrate temere tutti. »
Hunk tossicchiò di nuovo, ma questa volta nemmeno Keith vi badò. Il nodo allo stomaco gli stava impedendo di ragionare lucidamente. Tra poco gli avrebbe impedito di respirare.
Tuttavia, prima che potesse fare qualunque cosa, il campanello suonò.
La ragazza che si presentò alla porta era graziosa e con un sorriso gentile: portava i lunghi capelli biondi raccolti in due codini che le scendevano ai lati del viso, dandole una parvenza infantile. I suoi occhi scuri cercarono immediatamente quelli di Lance, mentre le labbra rosee si arricciavano, sporgendosi appena in cerca di un bacio.
Keith distolse lo sguardo, facendo di tutto per concentrarsi su altro. La sentì presentarsi ad Hunk e un attimo dopo se la trovò di fronte.
« E così tu saresti Keith. É un piacere conoscerti. »
Aveva una voce musicale, per nulla acuta come gli era sembrata la sera prima, eppure la trovava fastidiosa.
Keith si sforzò di alzare lo sguardo e stringerle la mano. In quel momento notò che si era tolta la giacca e sotto indossava un delizioso abitino dai toni pastello.
La parte maligna della sua mente gli suggerì che stesse facendo di tutto per apparire una bambina carina e innocua. Probabilmente era proprio quello che piaceva agli uomini: avere tra le mani una creatura eterea e innocente.
Una smorfia gli piegò le labbra, mentre ritirava di scatto la mano.
Nyma apparve stupita, ma non commentò.
Lance le chiese cosa desiderasse da bere, guardandola come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto: un'espressione che faceva schizzare il livello di rabbia di Keith alle stelle, impedendogli di pensare ad altro che non fosse quanto desiderasse essere altrove.
Si ritrasse sulla propria sedia, afferrando una birra che gli veniva passata da Hunk, mentre l'amico tentava di intavolare una conversazione.
Parlarono dei corsi, degli insegnanti e dei prossimi esami che si sarebbero tenuti all'accademia. Nyma rispondeva con battute spiritose, parole educate e sorrisi sapientemente dosati. Aveva poche lezioni in comune con loro, il suo indirizzo era meno tecnico, ma si mostrava interessata anche al loro ambito.
« É fantastico che tu sia in cima alla classifica piloti, Keith! » esclamò, entusiasta, a un certo punto. « Non avrei mai pensato di conoscere qualcuno di così dotato! Dev'essere impegnativo mantenere il titolo e scommetto che Lance ti invidia un sacco! »
Lì per lì Keith non seppe cosa rispondere: era impegnativo? Non ci aveva mai pensato.
« Faccio solo quello che mi riesce meglio, non mi è mai importato di quel primo posto. » disse, ingoiando il disappunto per quel paragone totalmente fuori luogo.
Lance posò una mano sul braccio della ragazza e sorrise, ammiccante.
« Siamo rivali, prima o poi lo straccerò e quel primo posto sarà mio. »
Nyma rise e Keith desiderò ancora di più andarsene. Almeno doveva fare un tentativo di sottrarsi a quella tortura.
« Sentite, a breve dovrò consegnare una relazione, quindi andrei a... »
Avvertì immediatamente lo sguardo ammonitore di Lance su di sé.
« Non vorrai rintanarti in camera, vero, Keith? Sarebbe un peccato. » disse.
Quella battuta fu sufficiente a far salire la tensione a un livello di guardia, tanto che Hunk cambiò bruscamente argomento, mettendosi a parlare della nuova passione di Shay per i gioielli artigianali.
Nyma lo seguì a ruota, apparentemente entusiasta.
Lance non intervenne molto e Keith avvertì i suoi occhi puntati addosso per tutto il tempo: era orribile che controllasse in quel modo le sue reazioni. Per questo si fece coinvolgere il meno possibile, limitandosi a rispondere a monosillabi e pregando che quella serata giungesse al termine il prima possibile.
« La tua Shay sembra davvero adorabile! Dovremmo fare un'uscita a quattro, prima o poi! Sono certa che ci divertiremmo un sacco, vero, Lancey? » esclamò Nyma, in risposta alle parole di Hunk. « E tu Keith? Non ce l'hai, una fidanzata? Potrebbe diventare un'uscita a sei! »
Quello era davvero troppo.
Keith sbatté il bicchiere sul tavolo con un po’ troppa enfasi e la guardò negli occhi per la prima volta in tutta la sera.
« Le uscite di gruppo mi fanno schifo e trovo certi atteggiamenti disgustosi, forse è per questo che non ho una fidanzata! » sbottò, acido.
Il suo sguardo deviò su Lance per una frazione di secondo ma fu sufficiente per leggere l’orrore nella sua espressione. Non poteva credere a quello che aveva sentito ed era comprensibile, non ci credeva nemmeno Keith stesso.
Fu Nyma a spezzare il silenzio imbarazzato che era piombato tra loro.
« Oook~ Ehm... mi dispiace se sono stata inopportuna, non era mia intenzione. Si è fatto tardi, credo sia ora che vada. »
Si alzò e recuperò il proprio cappotto, rimasto sul divano.
« Non c’è bisogno che mi accompagni, Lancey, conosco la strada. É stato un piacere conoscervi, spero ci rivedremo presto. Buonanotte a tutti. »
Li salutò con un sorriso leggermente forzato e si chiuse la porta d'ingresso alle spalle.
Lance sembrava ancora sotto shock.
Keith si alzò e lasciò la cucina. Era già sulla porta della propria stanza quando Lance lo raggiunse e lo strattonò per un braccio, costringendolo a voltarsi.
« Si può sapere cosa ti dice il cervello?! » esclamò, la voce che vibrava d’ira a stento trattenuta. « Non posso credere che tu l’abbia detto davvero! Dopo che ti avevo chiesto… »
« Lasciami, Lance. »
Anche Keith tremava, per la rabbia e per la sensazione che il suo cuore si stesse frantumando, pezzo dopo pezzo.
« Per una volta che qualcuno tiene a me e alla mia compagnia! »
« Ti ho detto di lasciarmi andare. »
Keith non sapeva per quanto ancora sarebbe stato in grado di controllarsi.
« Quale stramaledetto problema hai, Kogane?! »
Una mano più scura afferrò il polso di Lance e lo costrinse a mollare la presa.
« Lascialo stare, Lance. » disse Hunk, in tono forzatamente calmo.
Keith gli fu grato dell’intervento e ne approfittò per scivolare nella propria stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Per qualche minuto ascoltò i coinquilini discutere, poi decise che per quel giorno aveva ricevuto pugnalate a sufficienza e s’infilò le cuffie prima di stendersi a letto.

Nei giorni successivi, la presenza di Keith per casa e durante le ore in accademia si fece ancora più inconsistente. Nessuno aveva idea di cosa fosse successo e, per reazione, Lance divenne intrattabile.
Non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa e non poteva perdonarlo per l'uscita infelice in presenza di Nyma. Keith era sempre stato un tipo solitario, che amava stare sulle sue, forse un po' brusco nei modi e poco abile nelle relaziono sociali, ma mai volutamente sgarbato. Quell'atteggiamento ingiustificato lo irritava enormemente e il fatto di non riuscire a sfogarsi con lui, peggiorava le cose.
« L'hai raccontato a Nyma? » chiese Hunk, il pomeriggio del terzo giorno, seduto tra lui e Pidge, alla caffetteria dell'accademia.
« Certo! » rispose Lance, allargando le braccia come se fosse un'ovvietà. « Il dialogo è il primo sintomo di una relazione sana ed equilibrata. Tu non racconti i tuoi pensieri a Shay? Pidge, tu non parli con Shiro? »
La ragazza posò la tazza di caffè e si sistemò gli occhiali sul naso.
« Lo faccio, ma non sembro una disperata in crisi d'astinenza. A meno che non sia sotto esame e l'argomento di conversazione sia Killbot Phantasm 1. »
Lance la guardò storto.
« Non sono affatto in astinenza da Keith! »
« Avrei detto da caffè, ma se la pensi così... »
« Pidge! »
Hunk sospirò e tentò di riportare la conversazione all'argomento principale.
« Quello che stavo tentando di dire è che non sono affatto certo che sia una buona idea parlare con la tua ragazza di quanto tu sia preoccupato per la tua altra fiamma. »
Lance impiegò un istante a processare il senso di quelle parole e, quando lo fece, assunse un'espressione stralunata.
« Keith non è affatto la mia fiamma! » strillò, attirando l'attenzione di tutta la caffetteria.
« Ma ti piace, ti è sempre piaciuto. » obiettò Pidge, ragionevolmente. « Lo sappiamo tutti, andiamo.»
Lance era senza parole: tutto quel discorso era completamente folle e gli metteva addosso un'agitazione che rasentava il panico.
« Il fatto che consideri Keith affascinante non significa niente! E poi tutti chi? Keith lo sa? Gliel'avete detto? »
Pidge sbuffò, tutta quella storia iniziava a esasperarla.
« Certo che no. Secondo te, se lo sapesse, mi avrebbe chiesto dove trovare una biblioteca aperta fino a mezzanotte? »
Dopo tutte le assurdità dette fino a quel momento, quelle ultime parole, paradossalmente, tranquillizzarono Lance. Quindi Keith non rimaneva in giro fino a notte fonda in qualche postaccio malfamato. Usciva all'alba, rientrava quando tutti dormivano, ma almeno non si stava mettendo nei guai: in qualche modo, nonostante fosse ancora arrabbiato con lui, quella consapevolezza lo rassicurava.
E rimase così finché Nyma non decise che ne aveva abbastanza.

Se Lance avesse affermato di non aspettarselo per nulla, sarebbe stato un enorme bugiardo. Anche se, più che aspettarselo, lo temeva e fu questo che lo fece infuriare di più, insieme alle motivazioni. La sua ragazza da neanche una settimana, lo aveva lasciato perché non faceva altro che parlare del “suo amico Keith”, perché era preoccupato per lui e perché non aveva avuto occhi per altro durante la serata trascorsa a casa.
Lance sapeva benissimo che non era vero: quella sera era stato molto seccato con Keith, altro che non avere occhi che per lui! Era un'assurdità.
Nyma però non sembrava del suo stesso parere e le sue ultime parole prima di andarsene erano state: « Apri gli occhi, Lance. Anche un cieco se ne sarebbe accorto. »
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: era stato lasciato per colpa di Keith e quella era un'offesa che non avrebbe perdonato facilmente.
L’avrebbe affrontato, si disse, mentre marciava a grandi passi verso la fermata dell’autobus, raddrizzando l’ombrello che lo copriva. Gliene avrebbe dette di tutti i colori e l’avrebbe cacciato di casa, sotto la pioggia, a riflettere sui suoi errori. Sì, l’avrebbe preso e…
E non era per nulla pronto a vedere Keith sotto la pensilina, bagnato fradicio e con l’aria di chi stava portando sulle spalle il peso del mondo.
Quando alzò gli occhi e ne incrociò lo sguardo, la sua espressione si fece smarrita e un piede si mosse istintivamente di lato.
« Non azzardarti! » esclamò Lance, raggiungendolo, pronto ad afferrarlo. « Non te la darai a gambe, non dopo quello che è successo per colpa tua! »
Lo sguardo di Keith si fece confuso e Lance non attese la domanda per chiarire.
« Nyma mi ha lasciato, probabilmente a causa del tuo giochino dell’altra sera. È stata colpa tua! Sei soddisfatto adesso?! »
Aveva istintivamente agguantato Keith per il colletto della camicia, incurante della pioggia e del fatto che l’ombrello lo coprisse solo parzialmente. Si sarebbe aspettato una reazione brusca, forse violenta, invece Keith sembrava… sollevato? Lo fissava con quegli occhioni scuri, pieni di confusione, le ciocche gocciolanti che si incollavano alla fronte e alle guance. Ed era…
… così bello?
Lance strinse il pugno sul manico dell’ombrello, furioso.
« Hai capito quello che sto dicendo? La mia ragazza mi ha lasciato perché sei un bastardo incivile!»
Vomitargli addosso tutto quel veleno lo avrebbe fatto sentire meglio. Era quello che meritava.
Ora Keith gli avrebbe risposto per le rime e questo gli avrebbe finalmente permesso di sfogarsi.
Tuttavia, l’altro si limitò a scuotere la testa.
« Vi vedevate da meno di una settimana, Lance. Non credo sia così grave. »
Aveva un tono vagamente conciliante che lo mandò fuori di testa.
L’ombrello cadde a terra mentre afferrava il colletto della sua camicia anche con l’altra mano.
« Non è così grave? Non è così grave?! Keith! Avevo finalmente trovato qualcuno che mi apprezzava, che voleva stare con me! Che ricambiava i miei sentimenti! » ringhiò, scuotendolo. « Cosa vuoi saperne, tu, di cosa sia grave o meno? Cosa ne sai, tu, che non sei mai stato innamorato?!»
Non vide arrivare il pugno, percepì solo il dolore alla mascella e si ritrovò lungo disteso in una pozzanghera.
Quando alzò lo sguardo, pronto a urlare contro Keith e a restituire il colpo con gli interessi, quello che vide nella sua espressione lo gelò sul posto. I suoi occhi riflettevano un dolore che non aveva mai visto, nemmeno nei rari momenti in cui Keith parlava della sua infanzia sfortunata. Era come se la sua maschera impassibile si fosse incrinata e potesse intravedere quello che si trovava al di sotto.
Un angolino della sua mente tentò di suggerirgli di fare attenzione, ma Lance era troppo arrabbiato, troppo desideroso di rivincita perché quel particolare lo bloccasse davvero.
Keith non era da meno, di fronte a lui, con i pugni stretti lungo i fianchi.
« Non sarò mai stato innamorato, ma non incolpo gli altri delle mie paranoie! »
Lance balzò in piedi, ignorando l'acqua che gli gocciolava dai vestiti e tornando a strattonarlo per la stoffa della camicia.
« Però sparisci per giorni come un emo idiota, fregandotene di tutto! »
Uno dei colpi di Lance andò a segno, ma ebbe a malapena modo di rendersene conto, che Keith, tentando di liberarsi dalla sua stretta, lo urtò con un gomito. Il suo naso iniziò a sanguinare, ma non vi badò, mentre spingeva l'altro con la schiena contro la parete della pensilina. Keith sbatté malamente la testa sul pannello e Lance pensò di aver finalmente avuto la meglio. Non aveva però calcolato l'effettiva superiorità fisica dell'altro che, un attimo dopo, aveva ribaltato le posizioni, intrappolandolo tra il suo corpo e la parete.
« Sta' zitto! » gli urlò in faccia. « Cianci tanto, ma non sai niente! Quindi chiudi quella stupida bocca una volta per tutte! »
Lance si divincolò nel tentativo di liberarsi, ma si bloccò nell'istante in cui realizzò che Keith gli aveva effettivamente chiuso la bocca.
Con la propria.
Keith stava stringendo in pugno il colletto della sua maglia e lo stava baciando.
Lance sgranò gli occhi e qualcosa nel suo cervello s’inceppò, impedendogli di ragionare. Sentì le guance infiammarsi, il suo intero corpo andare a fuoco e reagire al contatto.
Le mani di Keith si spostarono, possessive, sui suoi fianchi. Le labbra lasciarono le sue per assaporare la pelle delicata del collo.
Lance abbandonò la testa all’indietro, per fargli spazio, e un mormorio carico di irrazionale desiderio nacque dal fondo della sua gola.
« Ah… Keith… »
Fu come ricevere una secchiata d’acqua ghiacciata in pieno viso.
Keith s’irrigidì, lasciandolo andare e balzando indietro. L’espressione sul suo viso era sconvolta, gli occhi spalancati, le labbra che tremavano appena. Le aprì e le richiuse un paio di volte, nel tentativo di dire qualcosa, ma alla fine rinunciò e scosse la testa.
Lance, turbato a sua volta da quanto appena successo, sollevò una mano nella sua direzione per… fermarlo… toccarlo… qualcosa!
« No! »
L’esclamazione secca di Keith, però, troncò ogni tentativo e non poté far altro che restare immobile a guardare l’altro allontanarsi di corsa sotto la pioggia.

Non riusciva a capire cosa gli fosse passato per la testa.
Quando raggiunse l'appartamento, Keith sentiva ancora in bocca il sapore del sangue di Lance, simbolo della sciocchezza colossale che aveva fatto. Aveva sempre pensato di avere un discreto autocontrollo, ma questo l'aveva tradito nel momento meno opportuno, mandando all'aria i suoi propositi.
« Stupido idiota! » inveì contro sé stesso, picchiando la fronte conto l'anta dell'armadio. « Hai rovinato tutto. Come sempre. »
Non avrebbe mai scordato il modo in cui Lance l'aveva guardato, il modo in cui aveva pronunciato il suo nome: era inorridito, probabilmente spaventato da lui. Aveva visto nei suoi occhi tutto il rifiuto e il senso di tradimento nei confronti di qualcuno che considerava amico.
Quell'amicizia l'aveva distrutta con le sue mani: era stato troppo avido, aveva desiderato qualcosa che non si sarebbe mai potuto permettere e quello era il risultato.
Lo sguardo di Lance, il ribrezzo che vi aveva visto, faceva più male di una coltellata.
Non poteva continuare così.
Non si fermò nemmeno a cambiarsi con abiti asciutti. Senza riflettere, aprì l'armadio e recuperò il suo vecchio borsone.
Fu in mezzo a un caos di libri e vestiti, che Shiro lo trovò mezz'ora dopo. Non l'aveva sentito entrare, ma del resto non ricordava nemmeno di aver chiuso a chiave la porta.
« Non ti sentivo da qualche giorno, così sono venuto a vedere come stavi, Keith... Ma che stai facendo?! »
Keith non si scomodò ad alzare la testa.
« Me ne vado. »
Il pensiero era sbocciato spontaneo nella sua mente, non esisteva altra soluzione.
« In che senso, te ne vai? Dove? Perché? »
Avvertiva la preoccupazione crescente nel tono di Shiro, ma non aveva risposte per lui.
Scosse la testa, ricacciando indietro il nodo che gli stringeva la gola.
« Lascio l'appartamento. Ho fatto un casino, non posso più restare qui. »
« Un casino? Cosa...? »
Finalmente Keith alzò gli occhi, strofinando con il dorso della mano una lacrima traditrice che gli era scivolata tra le ciglia.
« Scusami, Shiro. Non cambierò idea. »
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Power of Dreams

"Posso accettare di pentirmi di aver seguito un sogno che non sono riuscito a realizzare, ma non voglio pentirmi di aver rinunciato a inseguirlo."

Takagi "Shujin" Akito

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