fairy_circles: (RinHaru drown)
[personal profile] fairy_circles
Titolo: Se ami qualcuno, lascialo libero
Fandom: Free! Iwatobi Swim Club/Eternal Summer
Rating: verde
Personaggi: più o meno tutti
Pairings: Rin/Haruka, Rei/Nagisa
Riassunto: "«Quindi per cosa ho patito, io, per tutti questi anni? » chiese con la voce che rischiava d’incrinarsi da un momento all’altro. «Tu sai spiegarmelo, Haruka? »"
Disclaimer: Free! e tutti i suoi personaggi appartengono a Kouji Ouji e alla Kyoto Animation.
Note: Mermaid!AU perchè sì, Haru sirenetto è l'amore.
Beta: mystofthestars
Word count: 2223 (fdp)

Spesso si dice che la notte porta consiglio ma quella in corso, per Rin, era tutt’altro che foriera di soluzioni. Dopo aver passato l’intero pomeriggio in cerca di qualcuno con cui concludere l’affare del tritone ed aver finalmente trovato l’aggancio giusto, era convinto di riuscire a riposare a dovere, invece continuava a rigirarsi nel letto. Ad affollargli la mente erano le immagini della trattativa fatta e delle occhiate che alcuni passanti gli avevano riservato notandolo in compagnia di “quella persona”. Il fantomatico aggancio altro non era che un suo vecchio amico d’infanzia, tale Sousuke Yamazaki, che ora lavorava al soldo di uno dei maggiori boss di Samezuka. Da bambini erano stati molto uniti e Sousuke era stato di grande aiuto a Rin nel periodo appena successivo alla morte di suo padre. Si poteva quasi dire che la sua presenza fosse stata l’unica cosa che gli rendeva sopportabile il mestiere ereditato dal genitore.
Ma poi Sousuke aveva avuto un incidente e la situazione era precipitata. Non potendo più uscire per mare a causa della spalla malandata, aveva iniziato a frequentare compagnie di dubbio gusto e Rin lo aveva seguito per un certo periodo. Ritrovarlo ora come braccio destro di un boss lo aveva stupito, ma era anche la migliore occasione che poteva capitargli. O almeno era quello di cui cercava di convincersi. In realtà non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione predatrice del suo vecchio amico e quegli occhi chiari, più freddi di quanto ricordasse, che, nel suo immaginario, si sovrapponevano ad un altro paio di occhi azzurri, le cui profondità erano paragonabili a quelle dell’oceano.
Scuotendo la testa seccato per quel pensiero ricorrente, abbandonò definitivamente l’idea di un sonno ristoratore e si alzò. Muoversi per casa a quell’ora di notte rischiando di disturbare sua madre o Gou non era consigliabile, quindi si diresse automaticamente verso il portico e il giardino sul retro.
La notte era chiara e limpida e la luce della luna rendeva le acque del laghetto simili ad argento liquido, appena increspato da una brezza leggera. La primavera era alle porte, ma le notti non si potevano ancora definire calde. Tutto attorno regnava il silenzio, interrotto solo dal solitario frinire di una cicala precoce in lontananza.
Rin si sedette sulle sponde del laghetto, nel punto dove la recinzione lasciava spazio al piccolo argine, e alzò lo sguardo al cielo trapuntato di stelle. Ogni volta che compiva un gesto del genere gli veniva spontaneo chiedersi se davvero suo padre lo stesse guardando da lassù, se davvero vegliasse su di lui e sulla famiglia che aveva lasciato così prematuramente e, se lo stava facendo, cosa pensasse del suo comportamento. Lo avrebbe approvato? Suo padre era sempre stato il tipo di persona che non apprezzava gli atteggiamenti rudi, a maggior ragione verso chi si trovava in condizione di non potersi difendere. Quel tritone, però, era di certo un assassino. Chissà quante vittime aveva già fatto?
A metà di quel pensiero, tuttavia, si ritrovò titubante e con le sopracciglia increspate dal dubbio: come poteva un assassino avere uno sguardo così limpido, privo della benché minima ombra? E se si fosse sbagliato? Se fosse stato tutto un grande abbaglio? Era davvero pronto a sacrificare un innocente per un suo errore?
«Papà… sto sbagliando? » mormorò rivolto alle stelle mute. «Cosa devo fare? Se solo potessi sapere se sei stato davvero attaccato dalle sirene…»
Quando tornò ad abbassare lo sguardo, incrociò inaspettatamente quello di due occhi color del mare che lo fissavano appena sopra il pelo dell’acqua. Diversamente dal solito, però, Rin non si ritrasse né ebbe reazioni inconsulte: si limitò a fissare il tritone a sua volta, chiedendosi come potesse essere così tranquillo, cosa nascondesse, se e quanto lo odiasse.
«Dimmi la verità. » si ritrovò a chiedere fin troppo quietamente. «Rovesciate davvero le barche dei pescatori? Vi nutrite davvero di esseri umani? »
Quello che gli giunse in risposta sulle prime somigliava ad un sospiro esasperato che s’infranse sulla superficie dell’acqua in mille bollicine, poi il tritone emerse fino alle spalle.
«Rin, noi ci teniamo alla larga dagli umani. » disse in tono pacato. «I contatti sono proibiti dalle nostre leggi. Soprattutto non… mangiamo le persone. »
Pronunciò le ultime parole con un tono che fece sentire Rin uno sciocco e, allo stesso tempo, lo indispettì: come poteva dire cose che avevano condizionato la sua vita come se fossero delle ovvietà?
«Delle leggi? » si ritrovò a chiedere stranito.
Era in qualche modo inquietante pensare che sul fondo dell’oceano, sotto le barche che lo solcavano ogni giorno, esisteva una società civile ed organizzata del tutto estranea agli abitanti della terraferma.
«Senti…»
«Haruka. »
«Come? »
«Mi chiamo Haruka e non sono più animale di te. »
Se fosse stato in un altro qualsiasi momento, Rin avrebbe dato in escandescenze davanti ad un’affermazione del genere, ma quella notte sembrava che ogni parola servisse solamente ad alimentare i suoi dubbi. Se davvero il tritone stava dicendo la verità, e non avrebbe mai potuto credere che qualcuno dotato di uno sguardo del genere potesse mentire, allora tutti i suoi anni di sofferenza perdevano significato. Al solo pensarci, un nodo doloroso gli stringeva lo stomaco e gli occhi tornavano a pizzicare.
«Quindi per cosa ho patito, io, per tutti questi anni? » chiese con la voce che rischiava d’incrinarsi da un momento all’altro. «Tu sai spiegarmelo, Haruka? »
Il tritone non si mosse né abbassò lo sguardo di fronte a quella domanda totalmente priva di senso.
«Non esiste una risposta. Il mare colpisce anche noi come voi. Anche noi possiamo essere trascinati lontano dalle correnti sottomarine, finire vittime dei predatori o… nelle reti degli umani. »
Non c’era accusa nella sua voce, ma Rin provò comunque un’inaspettata fitta di senso di colpa, anche se era convinto di aver dimenticato da tempo cosa significasse.
Era vero, il mare non guardava in faccia a nessuno e richiedeva i suoi crudeli tributi ad entrambe le specie a cui forniva sostentamento. Come un inflessibile padre padrone, imponeva i suoi ritmi ed esigeva obbedienza.
«Come riesci a sopportarlo? »
Haruka lo fissò confuso, di fronte a quell’ennesima domanda senza senso. Di certo per lui una cosa del genere era assurda quanto chiedere ad un essere umano come potesse sopportare di vivere sulla terra e circondato dall’aria. Rin lo capiva ma gli era comunque difficile farsene una ragione.
«L’oceano non ama chi lo sfida. » rispose Haruka serafico, apparentemente così tranquillo.  Rin non capiva come fosse possibile. «Accettare le correnti, abbandonarsi ad esse, opporsi non serve…»
Lo faceva sembrare semplice e poetico, mentre Rin non aveva fatto altro che tormentarsi tutto il tempo, soffrendo in silenzio e odiando tutto e tutti. Era una logica all’apparenza così banale da far male e che metteva in crisi ogni certezza, incrinava pericolosamente ogni muro che si era costruito attorno. Improvvisamente si rendeva conto che tutto l’astio, che aveva riversato addosso a delle creature della cui esistenza lui stesso aveva dubitato, era stato completamente insensato e questo lo gettava nello sconforto e nella confusione.
«Domani devo portarti a Samezuka. » iniziò, seguendo il filo dei proprio pensieri e cambiando la direzione del discorso.
Quello che durante il giorno gli era apparso come un ottimo affare, come la soluzione migliore per sfogare il suo astio e, al tempo stesso, ottenere i mezzi necessari per permettere alla sua famiglia di vivere in un posto migliore, ora non gli sembrava più una buona idea. Se quello che Haruka diceva corrispondeva a verità, allora non avrebbe mai potuto tollerare che un innocente pagasse per i suoi errori o per il suo tornaconto. Più si rendeva conto che quella con cui stava parlando era una persona a tutti gli effetti, più un nodo doloroso gli stringeva lo stomaco al pensiero di gettarla in pasto (in senso più letterale che figurato) a qualche pazzo che poteva fargli di tutto.
Strinse le dita sul ciuffo d’erba ai suoi piedi e ne strappò alcuni fili.
«Non so cosa fare…» ammise.
Tormentarsi ora aveva poco senso, ma sul piatto della bilancia c’erano il suo benessere e al sua coscienza, la scelta era ardua.
«Liberami. »
La voce di Haruka gli giunse quasi come la risposta di quella coscienza stessa, ovvia e al tempo stesso dolorosa.
Alzò quindi lo sguardo per incrociare quello cristallino del tritone di fronte a lui, e insieme ad esso anche una mano, che protese nella sua direzione in una sorta di imitazione del gesto compiuto poche ore prima, anche se totalmente privo di quella violenza. Era bizzarro pensare che la prima reazione degli esseri umani di fronte a qualcosa che li incuriosiva fosse di tentare di toccarlo, per quanto potenzialmente pericoloso questo potesse essere. Haruka, in quel momento, rappresentava un’attrattiva irresistibile.
«Non spostarti, per favore. » mormorò Rin. «Non voglio farti del male. »
Incoraggiato dal fatto che Haruka non si muovesse, si azzardò ad allungare un poco di più la mano, lasciando che le dita, ancora incerte, scostassero dalla fronte del tritone i ciuffi corvini gocciolanti e si posassero sulla sua guancia in quella che, con un po’ di fantasia, sarebbe potuta passare per una goffa carezza. Un attimo dopo ritirò la mano, più confuso che mai e con il cuore in tumulto senza un motivo apparente.
«Forse dormirci su potrà esserci d’aiuto. » disse, ben consapevole che lui, comunque, non avrebbe chiuso occhio. «Ti prometto che troverò una soluzione. »
Detto questo, si alzò dal ciglio erboso del laghetto e tornò verso la casa senza aggiungere altro e senza notare che, dal buio, due diverse paia di occhi avevano seguito la scena.

Dopo che Rin si fu allontanato, Haruka fu sul punto di lasciarsi sprofondare nelle acque dello stagno nella speranza, probabilmente vana, di trovare un po’ di riposo. Tuttavia alcuni rumori anomali, che differivano da quelli tipici della notte, attirarono la sua attenzione: sembravano dei passi.
Un attimo dopo una figura furtiva emerse dalle ombre dei cespugli che circondavano il giardino e gli si avvicinò bisbigliando concitata: «Haru-chan? Sei Haru-chan? »
«Haruka. » precisò il tritone e sentì il nuovo arrivato sospirare di sollievo mentre si accostava alla recinzione del laghetto per essere meglio identificabile.
«Mi chiamo Rei Ryugazaki. » iniziò. «Ah… non hai niente da temere da me, sono un amico di Nagisa.»
Haruka lo scrutò con diffidenza, mantenendosi a debita distanza: che un ragazzo, un umano, si presentasse come amico di un tritone era decisamente anomalo, che lo facesse con un nome che lui stesso conosceva era addirittura assurdo e gli fece temere che anche Nagisa fosse finito in qualche rete.
«Non sono una persona sospetta, davvero! » si affrettò ad aggiungere Rei. «Nagisa mi ha detto che ti piace lo sgombro e ho pensato che potessi avere fame, quindi…»
Lasciando la frase a metà, mostrò il pesce che aveva portato con sé e questo, oltre al vuoto allo stomaco che aveva appena scoperto di avere, fece accantonare ad Haruka parte della sua diffidenza.
Mentre il tritone si issava oltre il ciglio del laghetto per poter mangiare più agevolmente, il ragazzo continuò a parlare, spiegando come Nagisa fosse andato da lui a chiedere aiuto per il suo amico rapito e di come insieme avessero trovato la soluzione ideale per liberarlo.
«Portarti via ora mi sarebbe impossibile, non ho i mezzi per farlo. » continuò. «Ma domani tornerò sicuramente. Nagisa e Makoto si stanno dando da fare per raccogliere il più possibile di queste, così potrò essere io ad acquistarti e ti riporterò subito da loro. »
Haruka non notò nemmeno la moneta scintillante che Rei gli stava mostrando sul palmo della mano e non si chiese come effettivamente funzionasse questa storia dell’acquisto, il semplice sentir nominare Makoto e sapere che si stava preoccupando per lui gli aveva provocato una stretta allo stomaco. Voleva tornare in mare al più presto, ne sentiva il bisogno fisico. Quelle acque ferme e tiepide gli stavano diventando intollerabili.
Sforzandosi di mantenere la calma, tentò di concentrarsi su quello che Rei stava dicendo, sulla spiegazione del piano che aveva progettato con Nagisa, anche se un fondo di diffidenza permaneva in lui: dopotutto si trattava pur sempre di un umano, cosa sarebbe successo se avesse cambiato idea all’ultimo momento? A quanto pareva gli umani erano soliti a bizzarri sbalzi d’umore, Rin ne era la prova lampante e il suo cambiamento lo lasciava tuttora perplesso. Nonostante questo, la sensazione del tocco delle sue dita non lo abbandonava ancora. Poteva ancora sentirlo sulla pelle, caldo e leggero, così diverso dalla sensazione di frescura dell’abbraccio dell’acqua, per lui completamente rigenerante, e dal tocco di una qualunque altra creatura marina. Le mani di Rin erano asciutte, le punte delle dita stranamente ruvide, nessuno lo aveva mai toccato in quel modo.
«Haruka…»
La voce di Rei, ancora intendo a spiegargli i programmi per il giorno dopo, lo strappò da quelle strane riflessioni. Non era da lui perdersi in simili pensieri, a maggior ragione se l’oggetto di essi era colui che lo aveva strappato al mare e alla sua vita per riservargli un trattamento che definire brutale, ai suoi occhi, era poco.
Gli umani erano troppo strani, decisamente incomprensibili, e Haruka non vedeva l’ora non avere mai più a che fare con loro.
«Sì. » rispose in tono basso, giusto per dimostrare all’altro che lo stava ascoltando.
«Verrò domani in tarda mattinata, non appena rientrerò dalla pesca, in tempo prima che ti porti via. É la cosa più logica da fare. Nel frattempo tu tieni duro. »
Detto questo, si alzò in piedi ed accennò ad allontanarsi. Haruka lo seguì con lo sguardo mentre scompariva tra le ombre del giardino: si trattava di pazientare ancora qualche ora, l’indomani sarebbe tornato nel suo tanto amato mare.
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Power of Dreams

"Posso accettare di pentirmi di aver seguito un sogno che non sono riuscito a realizzare, ma non voglio pentirmi di aver rinunciato a inseguirlo."

Takagi "Shujin" Akito

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